L’illusione del tutti a casa

di Paolo Scattoni

Gli interventi ad un mio precedente post sollecitano una considerazione. Mi pare ci sia un accordo di fondo sul fatto che i passaggi a cui assistiamo a livello nazionale, ma di conseguenza anche a livello locale, siano preoccupanti, forse addirittura drammatici. Anche sulla degenerazione della politica mi pare che i commenti concordino.

 Quello su cui non sono (forse) d’accordo è la terapia proposta. Il “tutti a casa” a me pare una forzatura retorica, più che una prospettiva.

 Sul rinnovamento universale ho seri dubbi che cerco di motivare.

 Nei miei studi di pianificazione urbana faccio riferimento a politologi americani (viventi ma ormai quasi centenari) come Robert Dahl e Charles Lindblom.

 Quest’ultimo, in particolare, ha criticato in maniera radicale i difetti della democrazia nel capitalismo. Rimane famosa una pagina del New York Times comprata nel 1978 dalla multinazionale del petrolio Mobil per confutare un libro di Lindblom (Politics and Markets) che metteva in luce il ruolo distruttivo delle disuguaglianze nell’esercizio del potere nella società capitalistica.

 Quello che però Lindblom anche afferma è che non esistono terapie d’urtoper risolvere questo nodo. Imodelli “rivoluzionari” studiati a priori non funzionano. Dai miei modesti studi sumodelli ideali di città/societàa partire da Platone sino a Tommaso Moro ho capito che quei modelli erano assurdi e da rifiutare anche per i periodi storici in cui erano stati immaginati. Lo stesso è capitato neimodellicostruiti e messi in atto nel Novecento.Eppure quei modelli erano considerati una specie di traguardo rivoluzionario. Sui modelli delle dittature nazifascistenon c’è bisogno di dire.Sul fallimento  di quelle sovietiche che sono rimaste un punto di riferi mento per quasi tutti gli anni ’60 non possiamo che prendere atto.

 Eppure certi riferimenti un po’ nostalgici sul PCI di un tempotrascurano che la stessa nomina a vicesegretario prina e segretario poi di un grande politico come Enrico Berlinguer, avvenne per cooptazione.

 La storia dunque conferma quello che viene dai politologi che ho citato: la società è troppo complessaper essere riprogettata una tantum. L’alternativa è quella di un processo incrementale per una progressiva partecipazionealle decisioni pubbliche.

 Secondo me questa strategia può essere delineata anche a livello locale. Occorre trovare opportunità anche minime in questa notte della politica caratterizzata da vuota propaganda. La nostalgia per i tempi che furono, quando “quello sì che era impegno”, a mio parere, non servono. Le semplificazioni invece sono, sempre a mio modestissimo avviso, scorciatoie pericolose.

 Anche a me piacerebbe, ad esempio, che il governo della nostra città fosse radicalmente diverso. In particolare che il processo decisionale fosse caratterizzato da assoluta trasparenza. Non è così, prima di attendere il “tutti a casa” che molto difficilmente avverrà e ancora più difficilmente porterebbe i risultati attesi, penso che debbano essere messe in atto operazioni volte al miglioramento progressivo della situazione. Questo blog è un’inezia, ma cerca di operare in quella direzione.

 Invece di attendere che un piano strategico complessivo delinei uno sviluppo illusorio basato sul mattone, penso che si possano mettere in atto piccole azioni basate sull’innovazione che non necessariamente passano da un modello di governo che non condivido.

 

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6 risposte a L’illusione del tutti a casa

  1. carlo sacco scrive:

    Al punto in cui siamo in Italia non sono sicuro se il disgusto generi o no nessuna politica,ma mi sembrerebbe che anche la stessa politica faccia tutto per attirarsi addosso il disgusto..C’è anche il fatto poi che tale discorso viene contraddetto da ciò che è stata la storia passata e cioè che i grandi cataclismi politici e sociali siano iniziati ”col disgusto” talmente esacerbato al punto in cui
    questo alla fine si è fatto politica organizzata,perchè da quella esistente è stato messo di fronte al fatto di cambiare le cose o soccombere.La strategia politica di chi è contrario ai cambiamenti passa sempre dalla divisione dell’avversario per batterlo. Può anche darsi che a forza di aumentare il disgusto parecchi più di oggi possano passare dalla parte di chi richieda un cambiamento vero.Al contrario di colui che dice di cambiare e spera che i cambamenti lenti possano far riassorbire il disgusto.Dipende dalla situazione materiale di esitenza di chi il disgusto lo sente e con quale forza lo sente.Tutto lì,ma non è poco.E quindi non mi sembra che il disgusto non possa produrre politica,tutt’altro.Qualcun altro lo vorrebbe che fosse così.E non c’è bisogno di spiegarlo chi sia perchè è colui che ha tutto da perdere.

  2. carlo sacco scrive:

    X Paolo:”La società è troppo complessa per essere riprogettata una tantum”.Non sono in disaccordo con tale visione.Ma tu parli di ”processo incrementale… pubbliche”.Le tue parole sai bene che si debbono per forza misurare ai meccanismi economici del sistema,che nel frattempo agiscono e recuperano per delega del sistema stesso quello che per chi ha è il maltolto che gli viene strappato.Tali meccanismi non sono fermi mai e condizionano le decisioni e rivolgono gli effetti privilegiando il loro stesso punto di forza:i soldi e chi li detiene.Come pensi che siamo arrivati alla situazione odierna allora? Come pensi che intere fette di società che prima pesavano da una parte oggi siano triturate e scomparse?E fra tutto questo il sistema economico-quello sì è vivo e vegeto-e produce ricchezza che si riversa verso i già ricchi impoverendo i già poveri.Ed allora? Che valore hanno le tue parole?Mi sembrano un valore concepito solo per ritardare e cercare di annaspare sapendo bene che il problema fondamentale non si risolve ed alla fine questo pesa come disvalore,anche perchè assume il significato di una di quelle forze mirate strategicamente al fine ma sotto false spoglie.Una pompa eterna,aspirante-premen-
    te.

  3. Lele Battilana scrive:

    Per quanto riguarda la politica locale non so dire perché’ non la conosco. Per quanto riguarda quella nazionale sono molto d’accordo con Paolo. Ai due politologi citati aggiungerei anche una massima di Churcill:”La Democrazia è il peggior sistema politico, tranne tutti gli altri”. Frequentando il blog sento molti comprensibilmente arrabbiati con il PD, ma anche con SEL e qualche volta anche con la sinistra non rappresentata. Tranne dare credito, a volte in maniera stranamente poco critica, a Beppe Grillo. A me sembra che l’orizzonte culturale e politico di Grillo sia il libro La Casta di Rizzo e Stella. Da tempo credo che la politica possa generare disgusto, ma sicuramente il disgusto non genera nessuna politica.

  4. ….Il castello crollerà di suo, il problema é che siamo tutti residenti del castello, se non fosse cosi me ne sbatterei altamente.

  5. Condivido l’articolo, che rinforza la mia opinione sul perché.
    Se tutti i tentativi ( citati dal Sacco ) di creare una società migliore sono falliti vuol dire che c’è un qualcosa di fondamentale sbagliato che, appunto, indirizza i tentativi verso il loro fallimento. Secondo me questo è il punto su cui si dovrebbe discutere. Il resto, come evidente nell’articolo non farebbe altro che cambiare nomi, mentre la situazione rimane cioé, sembra che non siamo capaci di migliorare, nonostante l’impegno, ciò che ovviamente
    non và e che è di nostra creazione.

  6. pmicciche scrive:

    Ovviamente non è praticabile alcuna palingenesi ma la si evoca spesso per esasperazione. Quello che si chiede non è impraticabile ma solo un’efficienza politico-amministrativa in linea con alcuni paesi d’oltralpe; un’opzione quindi reale e realistica. Invece, siccome si peggiora, la classe dirigente e politica deve essere sollecitata e provocata a reagire. Con il neo-presidenzialismo di Napolitano (indotto dalla Politica stessa, incapace di gestirsi) siamo giunti al massimo grado di questa crisi di impotenza. A Chiusi, un’azione blanda, istituzionale e responsabile – simile a quella del PD a livello nazionale nei confronti di Berlusconi – non ha gli strumenti sufficienti per frenare l’avanzata di chi agisce con metodi e linguaggi di sicura e perversa “presa” popolare. I piccoli passi dell’autoriforma – sperando nel fattore C (culo o caso, che dir si voglia), risultano altrettanto utopistici dell’opzione Palingenesi. Forse però, mentre si continua in modo estenuante questo esercizio verboso, il castello crollerà di suo e finalmente qualcosa sarà successo…a prescindere.

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