Sobrietà e localismo. La Chiesa insegna

di Marco Fè

Un caro amico, esperto di economia internazionale e per questo attento lettore della stampa estera, mi ha riferito che quel raffronto tra l’epoca attuale e quella della caduta dell’ Impero Romano, accennato, senza pretese, in un precedente articolo, è  argomento ricorrente in grandi testate giornalistiche.

L’intuizione non è farina del mio sacco ma l’ho mutuata dagli incontri che, l’estate scorsa, hanno preceduto la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid. La constatazione dell’amico mi ha spinto a sviluppare ulteriormente l’argomento. Le similitudini tra la presente stagione ed il V secolo che balzano subito in evidenza sono la radicale trasformazione della società e i grandi processi migratori. Allora cadde l’ Impero Romano, la più grande e duratura struttura politica, amministrativa, militare che abbia conosciuto l’epoca antica; oggi sono caduti o sono al collasso i due grandi sistemi economici e politici come il comunismo ed il capitalismo.

Le invasioni barbariche di allora corrispondono al fenomeno della globalizzazione di oggi. Le filosofie che precedettero il V secolo, come lo stoicismo, lo scetticismo e l’epicureismo, potrebbero essere paragonate, rispetto ai grandi sistemi filosofici precedenti, a quel pensiero debole di cui sembra soffrire la nostra epoca. Il baricentro del mondo si sposta ancora ad Oriente: allora a Costantinopoli, ora in Cina.

Ora come allora ci sono capovolgimenti epocali e oggi viviamo grandi paradossi: il mondo si è fatto piccolo ma è meno bello; si sono sviluppate enormemente le comunicazioni e viene meno il dialogo tra persona e persona; in molte parti del mondo si muore di fame e in altre di malattie per l’eccessiva alimentazione; l’umanità mai come ora è stata padrona del pianeta e mai come ora ne sta alterando lo straordinario equilibrio.

Dopo la caduta dell’ Impero romano fu la Chiesa a perpetuare la civiltà classica e a salvare l’ Europa. Lo fece soprattutto con il Monachesimo che, oltre allo straordinario afflato spirituale che dette significato, valore e senso all’uomo e alla storia, ebbe le caratteristiche peculiari della “sobrietà” e del “localismo” che oggi si presentano come panacea risolutiva. La sobrietà, ovvero un tipo di economia che potremmo definire “essenziale”, in quanto tesa principalmente alla soddisfazione dei bisogni primari, e del “del maiale” proprio perché del suino non si butta nulla, potrebbe essere l’antidoto al consumismo esasperato il cui fine ultimo non è l’utilizzazione ma il rapido consumo e produce inoltre il problema enorme dei rifiuti e del loro smaltimento.

Questo tipo di economia potrebbe valorizzare tutte quelle energie alternative che ridurrebbero enormemente i costi e abbatterebbero l’inquinamento. L’altra parola magica è il “localismo”, ovvero la valorizzazione delle specificità locali, non solo naturali, ma anche umane, e il recupero delle potenzialità piccole e grandi del territorio e della tradizione.

Il fenomeno ineluttabile della globalizzazione potrà essere positivo nella misura in cui saranno valorizzate le tradizioni locali ha affermato a suo tempo Ghiddens. Nel V secolo le piccole comunità che, nell’universalità medioevale, vivevano con sobrietà il localismo furono i monasteri.

Aurora dei tempi nuovi della Chiesa è stato il Concilio Vaticano II, dal cui seno sono scaturite, suscitate dallo Spirito Santo, realtà ecclesiali basate sulle “piccole comunità”, come Focolarini, Neocatecumenali ed altri.

Riscoperta dei valori, radicalità, semplicità di vita ne sono le caratteristiche comuni. La speranza del mondo, dopo 15 secoli, potrebbe essere ancora nelle mani della Chiesa.

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6 risposte a Sobrietà e localismo. La Chiesa insegna

  1. La “strada della decrescita” si affronta meglio con un trend negativo nella crescita della popolazione mondiale. In quest’ottica la Chiesa mi pare che “remi contro”. Quindi anche il discorso chiesa = abbattimento dell’inquinamento mi pare poco sostenibile.

    Mi piacerebbe anche capire perché l’autore di questi articoli non replichi ad alcun commento. Lancia il sasso e nasconde la mano?

    Oh Marco, siediti e rispondi! 😉

  2. lucianofiorani scrive:

    Condivido pienamente quanto afferma Lorenzoni riguardo alla decrescita.
    Credo sia il caso che cominciamo a farci mente locale perchè hai voglia a continuare a invocare crescita e sviluppo quando la realtà quotidiana ci parla un altro linguaggio.
    Lo spazio fisico, le risorse ambientali non sono infinite. Il segnale, inascoltato, lo dette il Club di Roma. Il rapporto sui limiti dello sviluppo è del 1972!
    Dobbiamo inventare davvero un nuovo modello di sviluppo che faccia i conti con i limiti. Forse non sarà facile ma sembra una strada obbligata.
    Continuare a pensare di produrre più di tutto ci porterà a fare la fine dei lemming immaginata da Walt Disney.

  3. marco lorenzoni scrive:

    Una cosa è certa la crisi attuale non sarà la fine del mondo preconizzata dai Maya, ma è sicuramente la crisi di un modo, la fine di un sistema. La crisi attuale segna la fine del capitalismo di carta, così come la caduta del Muro di Berlino segnò la fine del socialismo reale. Prima uno poi l’altro: due mondi son crollati e con essi tutte le llusioni che si portavano dietro.
    Non so e non sono convinto che la risposta sia nella “lezione della Chiesa” (che se mai ci ha insegnato come si gestisce il potere per millenni), ma qualcosa deve cambiare nei sistemi di vita. La decrescita forse non sarà felice, come sostiene Latouche… ma secondo me sarà una strada obbligata. In un modo o nell’altro di lì si dovrà passare. Perché questa architettura non regge più.

  4. Con la neve di motori immobili ce n’è stato uno sfacelo, tanto che è difficile capire quale sia stato il primo…

  5. Forse adottare il pensiero aristoteliano potrebbe dare una mano.

  6. Nicola Nenci scrive:

    Se qualcuno è ammalato di pensiero debole, quello è proprio l’autore dell’articolo.
    Diffido qualsiasi lettore dal tener in considerazione i contenuti storici che esso propone; non si possono definire altro che un’accozzaglia di castronerie che non hanno nessun riscontro con ciò che l’orizzonte culturale tardo-antico ha tramandato in termini di fonti dirette o indirette.
    Appare chiaro che la speranza del mondo, più che in mano a un branco di invasati baciapile, andrebbe riposta nella lettura di qualche buon libro di saggistica, che magari aiuti a pensare bene e a non ammalarsi del morbo da cattive idee, anche se qui ci sarebbe da ripartire dalle elementari.
    Un esempio: lo scetticismo, lo stoicismo e l’epicureismo nascono fra la fine del IV e il III secolo a.C. Il loro sviluppo cos’ha a che fare con la caduta del’Impero Romano, avvenuta quasi 800 anni dopo?
    L’autore dell’articolo ha mai letto Lucrezio o Seneca, prima di definire pedissequamente il loro pensiero come “debole”?
    Se è questo quello di cui farneticano gli economisti, non mi stupisce che l’economia del mondo sia ridotta così male.

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