Giulietti nel suo intervento fa una fotografia reale di una situazione dalla quale viene fuori che “Il Pubblico” avendo esaurite quasi tutte le risorse possa badare con quelle rimaste solo al mantenimento dello status quo.
Giulietti parla di un passato remoto e più prossimo ma ciò che ne esce è sostanzialmente il fatto –diciamocelo francamente- come lo slogan degli anni ’70 : “i soldi so’ pochi e nun se po’ campà”. Tale visione porta senza scampo alcuno ad affidarsi al privato in modo che con le proprie “sostanze” possa valorizzare beni ormai in aperto decadimento materiale o che restano inutilizzati senza esprimere le potenzialità in loro racchiuse.
Il privato in questo -e lo si capisce bene- è disposto ad investire solamente se ha dei “ritorni” o di immagine o di flussi di redditualità diretta o indiretta, ma sempre usando un bene che per sua natura è di tutta la collettività e si deve solo alla cattiva amministrazione pubblica ed all’ignoranza che spesso è alla guida di tanti settori con le persone preposte spessissimo per non dire sempre, occupanti le mansioni non per “savoir faire” ma per intrusione alla politica partitica e ripagati da questa con il ricoprire tali scranni. Ecco quindi da dove nasce il “degrado politico-amministrativo-morale”.
E’ su tale degrado che s’innestano spesso le attività di gestione privata di un bene pubblico poiché è nella mentalità comune che il privato amministrando sostanze proprie tenda alla massima funzionalità del settore dove ha investito ed alla massima valorizzazione. Non si esce da questo schema, è quello che guida il nostro pensiero e quello dell’Italia attuale. Io invece la penso diversamente da questo.
Innanzitutto ritengo che sia cosa vera che l’Italia possegga uno dei patrimoni storici ed artistici più grandi al mondo e che la vera sua rinascita dovrebbe essere nella valorizzazione di questo patrimonio unico che tutti ci ammirano. L’investimento in tale patrimonio quindi dovrebbe essere fatto in un certo lasso di tempo (non lunghissimo senza dubbio) e certamente tenuto conto delle spese correnti di altri settori come la Pubblica Amministrazione e normale funzionamento- ma destinando grosse somme alla valorizzazione veloce ed intelligente di tale patrimonio.Si attiverebbe ma senz’altro più velocemente di altri settori quello che in economia viene definito ‘’Flusso Circolare dell’Attività Economica’’ per il quale altri settori vicini possano automaticamente estendere la loro funzione sia nel privato che nel pubblico che nel sociale di una redditualità che sarebbe di certo incrementata non poco. Piccolo esempio’’ tagliato con l’accetta’’ come si suol dire: le spese militari !La loro riduzione non comporterebbe il fatto di non dover pagare gli stipendi ai dipendenti per 2-3-4 anni ma porterebbe un denaro fresco da utilizzare per uno scopo di valorizzazione di un bene culturale e pubblico restringendo l’attività di settori –spesso privati- che producono macchine da guerra.
Sarebbe un etica nuova questa e da percorrere oppure no? Un settore come quello militare si potrebbe permettere l’ammortamento più lento degli apparati di funzionamento come le flottiglie aeree del costo di qualche miliardo di euro ogni esercizio? Io credo di sì anche non rinunciando al mantenimento sostanziale del suo Status Quo interno dal momento che non è vero che ne sarebbero inficiati i sistemi politici di alleanze spesso sbandierate come agenti pacificatori del caos da loro stessi provocato, ma solo quelli produttivi della “velocità” dello sviluppo tecnologico del quale in tali settori se ne sente il bisogno solo per primeggiare nell’efficacia di portare la morte (vedi i droni impiegati in Afganisthan che ogni tanto fanno compiere quelli chiamati sempre “danni collaterali” quando distruggono qualche famiglia di pastori che nulla c’entra con i Talebani).
Scendendo nel localismo, Chiusi sarebbe al centro di un area ad alto contenuto culturale se potesse valorizzare propriamente con massicci interventi sia l’apparato storico che fa capo agli Etruschi ma non solo,ma tutta la sua storia antica, medioevale e moderna. L’essere al centro di vie di comunicazione la privilegia già come condizione di base da dove si possa ricevere un flusso turistico e culturale permanente.
All’inizio di quello che era il cosiddetto “poro blog” misi in forma scritta io stesso una idea per un centro direzionale e progettuale di uno sviluppo culturale di tutta questa grande area, in pratica una fucina produttiva non solo di studio ma anche di iniziative culturali multi direzionali correlate proprio all’amministrazione ed alla fruizione della cultura. Ci fu qualche risposta ma chiaramente tutto era sul “futuribile”.
Questo tanto per dire che quello che si intende come Sviluppo non è né il campo sportivo, né il marciapiede, né il creare un Piano strutturale alla misura di interessi circoscritti. Quello è solo un “costo” per la collettività che non porta nulla di beneficio. Mantiene solo le esistenze di pochi. Ma purtroppo il torpore della maggior parte della gente fa sì che ad affermarsi siano tali tendenze. Tutto il resto rimangono parole e le persone che sovraintendono a tali processi non è vero che pensano al futuro. Pensano alle beghe dei loro partiti ed a risolvere quelli delle loro famiglie o categorie produttive. Questa è la vera povertà e ritengo sommessamente che siano “poveri” anche se hanno conti in banca di assoluto rilievo. Questo è Chiusi e questa anche in gran parte è l’Italia. Ma si ritorna sempre lì: il perché di questo esiste e non è casuale !
9 risposte a Il beni culturali sono un bene comune, sia pubblica la loro gestione