di Paolo Scattoni
Non sono un politologo, confesso la mia ignoranza, ma devo utilizzare, anche se con grande approssimazione, alcune definizioni per sviluppare un ragionamento. Nella prima metà del secolo scorso studiosi come Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto sostenevano che la democrazia non poteva esistere e il sistema di governo era quello basato sull‘elitismo, un governo cioè condotto da un elite delle persone più capaci che viveva di cooptazione. Nella seconda metà del ‘900, grazie ad alcuni teorici soprattutto di scuola americana (p.e. Robert Dahl) afferma il concetto di poliarchia. Si creano nella società organizzazioni in confronto fra loro che tramite il voto fanno emergere “governi” via via diversi. Quella teoria è stata a sua volta criticata( p.e. Charles Lindblom) in quanto se qualcuno di questi centri acquista eccessivo potere il confronto è caratterizzato da squilibrio che comporta forti distorsioni nella democrazia rappresentativa. La terza rivoluzione industriale, caratterizzata, fra l’altro, da uno sconvolgimento dalla formazione e distribuzione dell’informazione e della conoscenza. Le dimensioni e la natura di questa trasformazione.
Leggiamo la situazione locale attraverso questa classificazione. A Chiusi fino a pochi anni fa ha dominato un’impostazione elitista. I vari centri di potere comunicavano fra loro attraverso rapporti che non emergevano pubblicamente. Un esempio vicino a noi è stato il “groviglio armonioso” di Siena. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. A Chiusi, purtroppo non è emerso qualcosa di veramente alternativo. La dimensione del potere espresso dal partito egemone (PCI-PDS-DS-PD) non è riuscito a proporre un modello alternativo che apparisse veramente innovativa e propulsore di sviluppo economico e sociale. Negli ultimi trent’anni si è pensato che il settore edilizio e delle opere pubbliche potesse essere quello trainante, quando invece era ormai chiaro che non lo poteva essere. Una fase era finita e invece si continuava sulla vecchia strada. Espressioni diverse nella politica e nell’informazione. era molto lontane dal poter influenzare e correggere la strategia dominante. È possibile diminuire lo squilibrio di potere e tentare la creazione di forme di conoscenza collettiva che permetta di produrre “quadri strategici” anche diversi fra loro per far scaturire progetti credibili ed efficai? Io credo di si.
Probabilmente si,a patto-grandee non è un percorso facile e lineare-che il processo sia diretto da individui informati e che abbiano un percorso davanti ai loro occhi fatto di strategia comunicativa e costante verifica dei risultati.In pratica tutto questo si potrebbe risolvere nella assoluta indipendenza dai poteri centralizzati partitici che assoggettano le periferie alle loro strategie.Un percorso non di rottura ma di ricomposizione delle proprie peculiarità sacrificate fin’ora sull’altare della centralizzazione.In pratica un processo opposto a quanto avviene nella ricerca tendenziale della concentrazione dei poteri decisionali centralizzati poichè messa in atto solo perchè ci si è resi conto dell’iperconsumo di risorse che produce un decentramento che in pratica assegna una non misura di spesa prevedibile portando un restringimento dei servizi resi al pubblico.Il contare sulle proprie forze è fondamentale e può pagare ma fino ad un certo punto ed il limite è quello del superamento dell’ambito localistico come polo di attrazione soprattutto nella valorizzazione della cultura posseduta all’interno.Di seguito si potrà sviluppare una tendenza nella ricerca verso lidi più lontani fruitivi ed organizzati con una visione più larga.La materia non mancherebbe per mettersi alla prova.Non è detto che ci si riesca ma non credo ci possano essere tante altre alternative.Occorre solo una cosa:la volontà politica che non c’è causa cultura partitica.