Superare la democrazia rappresentativa? Forse, ma intanto cominciamo da qui.

di Paolo Scattoni

 

Il dibattito che è seguito ai post di Marco Nasorri e Paolo Giglioni ha posto il tema del superamento della democrazia rappresentativa. Ricordo che nel 1968 da novello iscritto alla facoltà di architettura di Firenze mi trovai catapultato in una sperimentazione di democrazia diretta. Sulla spinta della protesta studentesca il consiglio di facoltà aveva approvato una mozione detta Ricci-Eco dal nome dei professori che l’avevano presentata: Leonardo Ricci e Umberto Eco. Quella mozione prevedeva una assemblea di studenti e docenti che avrebbe governato la facoltà. Il consiglio di facoltà avrebbe accettato le decisioni assembleari, salvo quelle evidentemente contrarie alle leggi. Quel tentativo durò soltanto pochi mesi per evidenti problemi pratici oltre che per il boicottaggio baronale.

Sin da subito quindi mi sono misurato nello studio con i rari esempi di organizzazioni “comuniste” di democrazia

Kibbutz

diretta (dai Soviet, ai Kibbutz, a Nomadelfia,….) come possibili modelli. Anche la teoria non era trascurata: dal dibattito sulla NEP di Lenin sino alle elaborazioni della scuola filosofico-sociologica di Francorforte (Horkheimer, Adorno, Habermas, Marcuse, etc.). Come sia andata a finire quella fase sessantottina lo sappiamo tutti. Il gusto per questo dibattito mi è rimasto, ma ho anche maturato un crescente scetticismo per i potenziali risvolti pratici immediati di queste elaborazioni.

Nel mio settore quello della pianificazione urbana e territoriale, negli ultimi venti anni si è molto dibattuto su una possibile svolta operativa basata su un modello di “democrazia deliberativa“, basata cioè su assemblee inclusive e assistite da esperti. Per ora poche esperienze, zero risultati. In compenso grande

Horkheimer, Adorno e Habermas nel 1965

disquisizione teoriche su democrazia e comunicazione (Habermas, Rawls, Lacan, etc.).

Servono? Ho i miei dubbi. Giorni fa ho assistito alla presentazione di un volume sull’applicazione della “trading zone” alla pianificazione. E’ un tentativo di superare i problemi della democrazia deliberativa con accorgimenti relativi al linguaggio fra diversi attori. Prezzo del volume pubblicato dall’auorevole editore Springer: circa 100 dollari, mia previsione sulle copie vendute: 200. Previsione di incidenza sulla pratica della pianificazione del tutto personale: zero.

Per chi oggi dice che la democrazia rappresentativa finirà rispondo che questo è il destino di tutte le istituzioni umane. Se però non mi si dice quando e cosa la potrebbe sostituire onestamente non mi interessa. Nel lungo termine saremo tutti morti, ironizzava Keynes.

Sono convinto che si debba partire da ciò che si ha al momento. Quindi benvenute tutte le analisi sui limiti dell’attuale modello di democrazia. Sono però convinto che al momento non esiste la capacità di un’analisi esaustiva capace di affrontare la complessità dell’attuale sistema politico capace poi di esprimere un modello alternativo complessivo credibile.

Quello che invece è possibile è immaginare un vago percorso, flessibile e sempre discutibile, che riesca a dare progressivamente potere ai cittadini singoli e organizzati. Per questo mi interessano i piccoli passi e quindi mi incavolo quando ci si occupa troppo poco nel garantire trasparenza e partecipazione anche a livello locale.

Hinc et nunc, qui ed ora, raccomandavano i latini.

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