Vorrei riproporre pari pari la rilettura del mio intervento sul Post Un Prete per… chiacchierare e per capire’’che inizia con “Una semplice riflessione da laico. Entro in una comunità…” nella quale cerco di spiegare qualche motivo fondamentale della mia lontananza da detta comunità.
Pur ribadendo tutto ciò che ho scritto – ma ce ne sarebbero anche altri che ritengo ancor più fondamentali di quelli espressi che invece ritengo consequenziali e che contrassegnano la lontananza- avevo iniziato dopo due giorni una risposta a Paolo Scattoni sulle ultime riflessioni riguardanti le motivazioni addotte da lui a supporto dell’utilità del non trasferimento.
Ho notato che potevo apparire negatore di concetti affermati prima in detto articolo e quindi ho sentito la necessità di intervenire. Quanto scrive Andrea Cappelloni sull’accettazione “obtorto collo” della decisione presa dal Vescovo poiché la ritiene fatta a ragion veduta e dopo essersi detto certo che il Vescovo abbia analizzato il pro e il contro, la discussione ha preso un’altra direzione che è quella dell’utilità o meno dell’innovazione e del sapervisi uniformare, anche perché anche i credenti sanno che sopravvive chi si aggiorna, e questo sia in politica che nell’ambito di tutte le relazioni umane.
Quindi anche la Chiesa non ne è esente, anche se tanti accettano senza discutere la sua dottrina perché è il manifesto intercedere dello ‘’Spirito Santo’’(lo dice anche Cappelloni credendo che sia così e pensando di fortificare il suo credo al quale dà una spiegazione). Io a differenza sua e di altri penso che invece sia una proposizione tutta terrena e fatta da uomini in ragione giustamente di ciò che sembra loro utile. Scattoni sembra dar torto a Cappelloni e crede di correre ai ripari pensando che tale momento non sia il migliore per tale cambio poiché dice che la comunità parrocchiale di Chiusi si trova in condizioni non idonee a sopportare tale cambiamento e lui lo vive forse come uno strappo, quasi come un errore strategico.
Da non credente e forse apparente superbo per poter intervenire in casa di altri (e per questo chiedo venia) mi sono sentito di dare un contributo che dovrebbe essere analizzato non con superficialità ma con doverosa sensibilità da chi nota certi difetti e non perde occasione per farli apparire al fine di poter cambiare certe realtà. La Chiesa dovrebbe essere aperta alle innovazioni, a quanto la quotidianità gli pone davanti perché deve essere un organismo vivo e pronto a recepire anche le negatività per trasformarle. Scattoni dice che non vedrebbe di buon occhio l’amministrazione di una persona straniera che possa dirigere la Parrocchia di Chiusi e mi risponde con una carica grossa di sfiducia dicendo di immaginare un bonzo di una comunità buddista di Empoli che per esempio possa capire le problematiche di un monastero buddista del Tibet.
Esempio che ritengo fuori luogo e fuori anche dal messaggio della Chiesa. Si riconosce la globalizzazione, l’apertura delle nazioni, la comunicazione fra i popoli e poi si nega la possibilità ai membri delle comunità di assumere responsabilità nell’indirizzo della conduzione di parrocchie che come tante, tantissime altre hanno i loro problemi, i più variegati e diversi? Allora questo mi fa riflettere che ciò che spinge certi membri di comunità non sia l’apertura ai problemi ma la mera gestione dell’esistente e spesso anche del tornaconto materiale ( in un mio articolo ho parlato sarcasticamente di ”sub-imperialismo” notando che ai parroci provenienti dall’estero fossero riservate funzioni del tutto secondarie come il dispensare le funzioni religiose nella quotidianità, tenendoli lontani dal cuore dei problemi, per una innata paura a voler preservare l’approccio e la conoscenza alle questioni’’. Con tale metro non saranno mai all’altezza del loro compito ecclesiale, perché avranno più difficoltà a conoscere e quindi si tenderà a riservare loro un ruolo comunque marginale. E’ il contrario dell’apertura, una contrarietà anche a quanto dettato dalla Chiesa stessa.
Ma la maggior parte delle volte mi sembra che tale via non sia seguita e la parola “sub-imperialismo” è confacente al mero espletamento della concezione del potere, di ogni potere, è inutile negarlo. Cappelloni nella sua accettazione “ob torto collo” e nel suo conformismo, forse con il travaglio che tanti altri credenti come lui hanno avuto, ma ha accettato ciò che ha ritenuto fosse il bene dell’Istituzione, arrivando giustamente a dire che dimostrare insieme di saper lavorare secondo gli insegnamenti ricevuti e di serrare le fila è la più grande forza che si possa esprimere per andare avanti, poiché il mondo non si ferma.
Ebbene, pur essendo un non credente, riconosco che davanti ad un discorso siffatto non si possa dar torto e non solo, tale discorso ritengo che sia il più forte messaggio di una volontà che è la maggior garanzia di procedere nel futuro. La strategia del “mantenere” talvolta è perdente anche se sembra che nell’immediato possa vincere per scopi più materiali e terreni, e allora mi domando alla fine sul dualismo presente in certe entità che credono di dispensare il bene per gli amministrati, cosa sia prevalente. Se lo si chiede ad un credente ci risponde che “la Chiesa è fatta da uomini e quindi come tali possono anche errare, mentre la Chiesa stessa essendo protetta dallo Spirito Santo ma intervenendo anche nella limitatezza umana è essa stessa incontestabile”.
Chiedetevi, da tale impostazione, da dove derivi il potere, la sua concezione ed il suo stesso uso, ma è solo una mia idea che alle cose per farle vere basta crederci. E’ tutto e nulla allo stesso tempo. Ecco perché siamo su emisferi opposti. Chiedo scusa, parlavo di me ed è una condizione soltanto mia, ma non per questo credo che non possa essere anche di altri. E’un bisogno che non nascondo e del quale a parlarne non ho paura, non l’ho mai avuta.
4 risposte a A proposito delle discussioni sul trasferimento di don Antonio