La chiusura del Centro di Accoglienza a Cetona: Sfatare le notizie false

di Suzie Alexander

Sono una cittadina di Cetona, e a titolo privato e volontario negli ultimi 3 anni insieme ad altri ho prestato un servizio di “tutoring” ad alcuni richiedenti asilo che sono stati alloggiati nella nostra comunità. Mi è stato chiesto di commentare gli sviluppi attuali e di contribuire a comprendere quest’argomento piuttosto spinoso. Mi sono resa disponibile a scrivere perché mi sembra chiaro che se le notizie false non vengono smentite in ambito pubblico acquistano la dignità di verità.

Il Centro chiude perché non c’è da lucrarci sopra: Falso

Il Centro a Cetona chiude perché il Decreto Sicurezza di Salvini ha ridotto le risorse disponibili causando la non sostenibilità economica del servizio fornito. Le risorse, stipulate per legge e assegnate tramite bando dalla prefettura, vengono utilizzate per pagare l’affitto della struttura, il vitto, gli stipendi delle persone che ci lavorano, la lavanderia, il trasporto, le spese mediche/burocratiche e €2.50 al giorno di pocket money (paghetta) ai soggetti accolti. Nel fornire questo servizio ora non esiste un utile ed è comprensibile che non ci possa essere una perdita. Farei notare che per la maggior parte i soldi rientrano direttamente nell’economia locale.

Le istituzioni della zona non vogliono un centro di accoglienza a Cetona: Falso

Non è vero che non c’è stata volontà politica di tenere aperta una struttura. Se fosse stato possibile trovare un nuovo immobile idoneo e abitabile nei tempi prescritti nel comune di Cetona tutte le istituzioni/attori sarebbero stati favorevoli a continuare a fornire un servizio di accoglienza. Anche perché il servizio ha sempre funzionato bene, in un contesto nazionale che invece rende l’accoglienza sempre meno efficace.

L’accoglienza nelle piccole comunità non può funzionare: Falso

Questo è l’esatto contrario della verità. L’accoglienza in una piccola comunità funziona meglio che non nelle grandi città, proprio perché il paesino permette un’interazione umana con la popolazione senza creare il disagio che deriva dalla presenza di grandi numeri.

L’accoglienza ridotta a vitto e alloggio è meglio per gli Italiani: Falso

Riducendo l’accoglienza a vitto e alloggio si rimuove l’accesso all’istruzione, all’alfabetizzazione e alla formazione. Di conseguenza si elimina la possibilità di formare soggetti autonomi in grado di gestirsi la vita da soli una volta ottenuto parere favorevole alla loro richiesta di protezione internazionale in Italia. Le attuali disposizioni fanno sì che queste persone rimangano in difficoltà e non siano produttive, creando un aumento dell’esclusione e del rischio sociale, per tutti.

I richiedenti asilo non hanno voglia di fare niente: Falso.

Spesso appena arrivate in Italia, queste persone portano i segni di quello che hanno visto e vissuto nel percorso che le ha portate qui: oltre alla dolorosa ragione iniziale che le ha spinte a partire (spesso sono vittime di persecuzioni personali o familiari), devono superare le conseguenze di un viaggio forse durato anni che le ha portate in Libia e ad affrontare la traversata in mare. Nonostante questi traumi, hanno comunque una forte motivazione a migliorare la propria vita e sanno che questo può avvenire solo con una formazione che possa dare loro un lavoro. Un’accoglienza ridotta a vitto e alloggio le costringe invece a restare senza fare niente. Questo sarebbe difficilissimo da tollerare per chiunque sapendo la grave situazione dei propri familiari. Senza accesso al corso di lingua italiana, alla scuola, alla formazione e con restrizioni d movimento come devono passare le giornate?

I richiedenti asilo ci rubano il lavoro: Falso

In accoglienza le persone possono lavorare, ma non possono guadagnare più di €400 al mese. Quale lavoro rubano agli italiani? Quei pochi che conosco che sono in accoglienza e sono riusciti a trovare un lavoretto hanno contratti brevi di poche ore al giorno e fanno i lavapiatti, i braccianti agricoli, i badanti, puliscono le stalle… lavori stagionali, precari che gli italiani spesso non accettano di fare, in condizioni difficili, arrivando a piedi o in bicicletta.

Tutto questo non mi riguarda: Falso

Vogliamo ricordarci che cos’è un richiedente asilo? Un richiedente asilo chiede protezione internazionale perché su di lui pendono minacce di morte, tortura e persecuzione. La legge internazionale e la costituzione italiana ci obbliga ad esaminare la loro richiesta. Una volta qui (e le persone di cui parliamo sono già qui) se l’accoglienza non viene eseguita bene ci troviamo con un problema ancora più grande. Le persone non seguite correttamente nella fase iniziale dopo non possono inserirsi nella nostra società e restano ai margini, sparendo dal sistema e divenendo facili prede della criminalità organizzata.

Sarebbe meglio aiutarli a casa loro: Falso

Non nelle condizioni attuali, né politiche né economiche né climatiche. In futuro lo speriamo tutti. Sono proprio queste persone che possono cambiare l’Africa, prendiamo il caso dell’Africa, non noi. Il loro soggiorno qua (che non sarà per sempre) è la migliore occasione perché possano acquisire gli strumenti per contribuire a creare eventualmente una nuova società nel loro paese di origine. Lavorando in Italia contribuiscono a migliorare l’economia del loro continente, ogni persona che lavora qui sostiene le vite di 20 persone là, e nello stesso tempo si preparano a tornarci più qualificate, quando le condizioni glielo permetteranno.

In zona ci sono diverse realtà di cittadini volontari che hanno creato opportunità di interazione tra i richiedenti asilo e la comunità locale, altri che hanno cercato opportunità di inserimento. Maestri in pensione che insegnano a leggere e scrivere, famiglie che offrono un posto a tavola, progetti nelle scuole, di uncinetto, di teatro, di danza, di musica. Tanti momenti preziosi di reciproco arricchimento culturale e personale. È stato fatto un grande lavoro, e possiamo fare molto di più. La chiusura del Centro a Cetona ci deve far riflettere.

Con la crisi economica in atto e l’impossibilità di investire ulteriori risorse pubbliche nell’accoglienza, cosa vogliamo fare? Per il gruppo di Loop-La-Loop, attivo a Cetona da 3 anni, la sola via percorribile per affrontare in maniera costruttiva il fenomeno di cui stiamo parlando è il dialogo trasparente tra cittadini, politici, e attori vari. Un dialogo che si basi su fatti reali e non mistificati e che produca nuove “partnership” tra le istituzioni e la società civile alla ricerca di soluzioni poco dispendiose, molto umane e di grande innovazione.

Suzie Alexander,

Loop-La-Loop

Cetona, 13 settembre 2020

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8 risposte a La chiusura del Centro di Accoglienza a Cetona: Sfatare le notizie false

  1. pscattoni scrive:

    Secondo l’agenzia ONU per i rifugiati nel 2019 erano circa 80 milioni. L’equivalente della popolazione tedesca. La maggior parte di loro hanno trovato asilo (si fa per dire) in paesi confinanti per sfuggire a guerre civili, persecuzioni religiose e repressione politica.
    In Europa si colloca una parte minima di quegli 80 milioni. Chi parla di bengodi non sa quello che dice. Se gli fa senso parlare con questi rifugiati che può incontrare anche dalle nostre parti, cominci a studiare i rapporti sui diversi paesi di Amnesty International e si renderà conto.
    Posso sbagliare, ma non credo che il fallimento dell’accoglienza in situazioni di eccellenza come quella di Cetona dipenda da una relazione diretta del tipo “meglio la precarietà così le paghe in campagna saranno più basse”.
    Secondo me non c’è l’esatta percezione di quanto si va sprecando con la chiusura di queste attività. C’è un’impreparazione di fondo nella gestione dei centri di accoglienza dovuta ad un’eccessiva rigidità delle procedure per le nostre prefetture al fine di indirizzare i percorsi di tali centri. Qualcuno riesce a quantificare la perdita di esperienza di buone pratiche?

  2. enzo sorbera scrive:

    Carlo. Comprendo perfettamente il tuo punto di vista, se vedi il migrante . Però il problema sta su due piani diversi: da un lato, la speculazione sul migrante che, più spesso di quanto si creda, fugge da situazioni drammatiche e non solo per andare nel Paese dei Balocchi (in sostanza, i movimenti migratori internazionali non nascono per il semplice fatto che alcuni individui desiderano migliorare le proprie condizioni di vita, bensì sono conseguenza di una complessa serie di processi economici e geopolitici); dall’altro lato una politica di accoglienza che dirotta sulla figura del migrante la responsabilità di una serie di contraddizioni (spesso si entra in competizione coi migranti per l’accesso a servizi che sono gestiti a “braccio corto” – posti all’asilo nido, accessi a mensa scalastica con fasce di reddito agevolate, sanità pubblica ingolfata, ecc. -) che in realtà il nostro (tagliatissimo) welfare non riesce (più) a garantire. Con la conseguenza dell’esplosione di contraddizioni che invece di rivolgersi al sistema o farsi aggregazione di classe, scatenano la caccia al negro.

  3. enzo sorbera scrive:

    Paolo, scusa il ritardo. L’accanimento che vedo nel rendere impossibile la permanenza dignitosa qui in Italia a persone che si vuole vedere “per forza” diverse e incompatibili ha per scopo il renderle ricattabili. Facciamoci due conti su un esempio: se pago 0,50 euro l’ora (cioè 5 euro a giornata, ch’è troppo) un operaio agricolo, com’è possibile trovare i fagiolini sul banco del mercato se li pagano al produttore 0,65 euro al kg (le grandi catene pagano ancora meno)? Visto che per cogliere un kg di fagiolini occorre più di un’ora, o rinunci a raccoglierli o affami il raccoglitore. Quest’ultima soluzione spiega l’accanimento a tenere precari tutti i lavoratori neri. Spesso, si parla senza conoscere la realtà di vita di queste persone (“la pacchia” e varie schifezze similari), una vita al limite della sopravvivenza. E si sono pure ribellati all’idea di regolarizzarli non per umanità, ma per salvare il raccolto dopo pandemia.

  4. pscattoni scrive:

    X Carlo Sacco. Ma ti rendi conto dell’enormità delle tue affermazioni? Ma quale bengodi? La quasi totalità di quei ragazzi ha rischiato la vita per scontri etnici, politici e religiosi. Come dire che gli armeni sotto l’impero ottomano sono venuti in Europa per motivi economici. Oppure che i dieci milioni di vittime in Congo causate dalla repressione del re del Belgio potevano essere evitate con la resistenza di quelle popolazioni.
    Il mio sommesso consiglio è quello di parlarci con quei ragazzi e capire le loro storie e poi tentare di scrivere.
    Uno di loro che abita a Chiusi ha scritto un libro dove racconta la sua storia. Lo puoi ordinare su Amazon, basta digitare il nome dell’autore (George Onuorah) e il titolo (Perché in Italia) lo ordini e te lo leggi e poi puoi argomentare.

  5. carlo sacco scrive:

    In una tematica delicata come questa vi sono molte visioni diverse ed anche tutte in un certo qualmodo pertinenti.Per non dare adito a speculazioni di natura politica nè di destra,di centro o di sinistra,mi piacerebbe ricordare che la critica storica e politica recentemente passata nei riguardi dell’autodeterminazione dei popoli (e questo non è davvero uno scherzo perchè credo sia la cosa fra le più importanti se non la prima) sosteneva che le ingiustizie all’interno delle proprie nazioni si vincono organizzando la lotta politica per superarle portando al governo di quelle nazioni le politiche che segnano le autonomie dei popoli e soprattutto che ne FANNO LA LORO FORZA,in modo tale che chi desidera di ritornare a sfruttare (il colonialismo economico,politico e modelli morali) non abbia più possibilità di imporsi e di far indietreggiare il destino e l’autodeterminazione di quei stessi popoli.In pratica: chi crede che la sicurezza dallo sfruttamento passi per la lotta e possa diventare un caposaldo tale da non far fare più un passo avanti e due all’indietro,si organizza e lotta.E’ questo il metodo più sicuro per raggiungere tale fine,e NON LA MIGRAZIONE .Oggi invece assistiamo all’esatto contrario:l’abbandono del proprio paese con in testa il principio di migrare verso il bengodi.E’ quindi anche una impostazione culturalmente errata,evidenziata dai fatti oggettivi che segnano nell’assistenzialismo il limite delle politiche dell’occidente.

  6. pscattoni scrive:

    x Enzo Sorbera. Ma nell’interesse di chi? A chi può interessare che un esperimento che ha avuto successo e che ha maturato esperienza preziosa possa finire?
    Tempo fa Suzie lanciò una sottoscrizione per fare in modo di dare un po’ di tempo per trovare una soluzione. Furono raccolti 4.000 euro in una settimana con donazioni da 500 euro fino quelle dei colleghi dei richiedenti asilo di Cetona di 5 o 10 euro. Questo può significare qualcosa?

  7. enzo sorbera scrive:

    No, Paolo, non è una maledizione: le cose che funzionano si fa in modo che non riescano ad andare avanti con mille intralci ed intoppi e alzando difficoltà economiche di varia entità e gravità. E Suzie ha perfettamente ragione: controbattere alle falsità è un primo passo per evitare che diventino luogo comune. Purtroppo, i guasti di un sistema salviniano – interessato a perpetuare il caporalato e lo sfruttamento ricattatorio (no diritti, no difese, no abitazione, anzi, istigazione alla paura del nero con i bei risultati che vediamo a Paliano e in altre zone) – portano alla frustrazione anche i volontari più caparbi. Se non si piegano, li spezzano (Mimmo Lucano docet).

  8. pscattoni scrive:

    Sembra una maledizione. Quando le cose funzionano non vanno avanti. Questi ragazzi saranno spostati come pacchi postali. Evidentemente la regola di “imparare dall’esperienza” per l’accoglienza non funziona, chissà perché.
    Auguri ragazzi poco o tanto siate rimasti a Cetona avete imparato per il futuro. Non scoraggiatevi, auguri.

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