E’ uscito da qualche giorno il nuovo spot del Ministero dell’Istruzione sulla promozione della scuola pubblica accompagnato dalla voce narrante del cantante Roberto Vecchioni; il video ha subito destato polemiche, numerose e decise, perché si è scoperto essere stato girato in una scuola privata.
Ho sentito lo scontro che si è creato fra i difensori da una parte, che giustificano la scelta e i critici dall’altra.
Secondo i primi è nel fine di uno spot vendere un prodotto e se nelle immagini avessero restituito la realtà delle strutture pubbliche, avrebbero dato un’idea desolante e poco accattivante; i secondi invece tuonano contro la mossa ipocrita dei produttori e la strumentalizzazione dell’appeal del cantante, nonostante comprendano i motivi di marketing.
Non voglio discutere se occorra o no aspettarsi una dirittura morale dalla pubblicità.
La questione è se l’appoggio ad una politica istituzionale (come il supporto della scuola pubblica) possa essere raggiunto attraverso la costruzione e la manipolazione della sua immagine che, puntando sull’emotività, per convincere deve essere il più accattivante e seducente possibile. Il fatto che nessuna delle parti che ho sentito abbia evidenziato questo passaggio, mi ha spinto a scrivere questa riflessione.
La pubblicità di servizi pubblici, quindi tutta quella promossa dal Ministero (come anche la Pubblicità Progresso) andrebbe tirata fuori da ragionamenti di vendibilità/invendibilità, poiché non viene presentato un prodotto per soddisfare un bisogno personale, ma si vuole sensibilizzare l’importanza di un servizio costituzionale a garanzia di un diritto pubblico; sia per i critici che per i sostenitori la sovvenzione alla scuola pubblica può aumentare per la visione di banchi meno rovinati, o di computer piuttosto che di lavagne, in virtù quindi di una apparenza più bella; solo qui infine i due fronti si dividono e entrano in ballo questioni di deontologia: le immagini andavano sostituite o era meglio scegliere strutture pubbliche?
Per tutelare la scuola pubblica si punta sull’emotività e sull’evocazione coinvolgente, chiamando in causa lo spettro dei sentimenti che come tali si muovono nell’ambito dell’irrazionale.
Il rischio è che il pubblico per cui è fatta la pubblicità, cioè un gruppo spettatore-consumatore sostituisca sempre di più il pubblico per cui si costituisce la res publica, cioè la possibilità di fioritura del sé che diventa utile agli altri .
3 risposte a La pubblicità che rovina il Pubblico