Se non Renzi, chi?

di Marco Fè

Ad ascoltare Renzi a Chiusi sono accorse tante persone convenute da tutta la bassa Valdichiana e, quello che è più significativo, non solo gli addetti ai lavori, ovvero quel manipolo sempre più striminzito di amministratori e politici, ma la gente comune, di ogni estrazione sociale e indirizzo partitico. Per farla breve potremmo dire che sabato 13 ottobre al Mascagni di Chiusi c’era, per usare un termine caduto in disuso, “il popolo”, interessato alla “cosa pubblica” ed è stato quindi un evento molto significativo che ha manifestato il desiderio profondo di speranza, di novità e di una politica vera e pulita autenticamente al servizio del bene comune. E questo fatto ha decretato già il successo dell’ incontro.

Resta da chiedersi se Matteo Renzi è stato all’altezza di queste aspettative che non sono di poco conto. Dagli applausi, dagli entusiasmi suscitati e dai capannelli che si sono formati dopo sembra proprio di sì, per lo meno per la maggior parte dei partecipanti. Il Renzi si è presentato subito come giovane al di là degli schemi, ha iniziato spiegando il significato del termine “rottamazione” che non si riferisce a “mandare a casa una serie di persone di età avanzata” ma piuttosto di provocare un indispensabile “ricambio continuo della classe politica”. Ha dato una sferzata al politichese quando ha precisato che se avesse usato il termine ricambio generazionale non si sarebbe fatto capire perché espressione talmente abusata da essere priva di significato.

E poi l’annuncio cardine del suo programma: la politica deve ritornare ad essere una cosa bella e un autentico servizio del bene comune. Con un atteggiamento più da show men che da politico, corroborato alla maniera americana da alcuni spot proiettati sullo schermo, con un parlare fluente ed accattivante è poi sceso ad elencare i punti essenziali della sua proposta politica rivolta “alle cose concrete della vita quotidiana e capace di costruire il futuro”: dimezzare camera e senato, abolire il finanziamento pubblico ai partiti evitando però che solo chi ha soldi possa far politica, portare al minimo le spese militari, combattere severamente l’evasione fiscale soprattutto nelle fasce alte, dare denaro a chi guadagna poco, finanziare le imprese nascenti prima di quelle consolidate, saper usufruire in maniera intelligente dei fondi europei, e soprattutto valorizzare al massimo i carismi dell’ Italia che ha individuato nella bellezza, vivacità, cultura, agricoltura, artigianato e scuola.

Ha concluso poi con espressioni che non si sentivano da tempo come “Mi appello al gran popolo dei delusi, sia di destra che di sinistra … se vincessimo la politica tornerebbe ad essere bella…se perdo non voglio premi di consolazione, me ne torno a casa…la vera sconfitta sarebbe stata non averci provato…desidero creare un Paese che sia all’altezza delle aspettative dei bambini”. Ed ha concluso citando il suo grande maestro Giorgio La Pira quando diceva che “La politica è una forma squisita ed alta di carità”.

Da tempo ormai è diventato un luogo comune dire che, da una parte e dall’altra dei vari schieramenti partitici, mancano le grandi personalità carismatiche che risollevarono l’Italia negli anni ’50 e ’60. Nel grigiore e nella squallida uniformità del panorama politico italiano è sorto, forse, qualcosa di nuovo: sarà questo giovane brillante, emulo di La Pira, sindaco di Firenze, patria di Dante e culla del Rinascimento, il vate della rinascita ed il profeta della speranza? E se non lui chi?

“Ai posteri l’ardua sentenza” diceva il Manzoni in simili casi rimandando così il giudizio alla storia che verrà.

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