La zecca di Chiusi e il Grosso Agontano

di Fulvio Barni

Alcuni studiosi di numismatica sono concordi nell’affermare che Chiusi, durante il periodo del ducato longobardo, coniò un “tremisse anonimo” (senza l’indicazione della città che lo ha coniato). Si tratta di una moneta d’oro bizantina equivalente a un terzo di solido, sempre dello stesso metallo, adottata dai Longobardi e dai Franchi come unità della monetazione aurea.

Si troverebbe al British Museum di Londra. Ma, al di là della certezza o meno che ciò sia vero, la storia monetaria chiusina di maggior rilievo, come già detto in un precedente articolo, si ha dal 1337 al 1355.

La zecca di Chiusi(1), come molte altre zecche italiane, nasce nel ventennio di interregno, ovvero in poco più di 20 anni in cui la confusione politica del momento fu generata dalla morte dell’imperatore Enrico. La situazione che si venne a creare causò feroci diatribe tra i signori della Germania, che lasciarono al loro destino le città della periferia perché troppo impegnati nella contesa del potere. Questo, quindi, è il periodo in cui le zecche nascono e proliferano.

Le città, infatti, si proclamano autonome e non necessitano più di un diploma imperiale per l’aperture delle stesse. C’è chi batte moneta come simbolo della propria potenza, chi per dare lustro alla propria città, chi lo fa per monetare l’ argento delle miniere possedute, chi perché crede realmente in un’importanza economica. Il tutto agevolato dagli “zecchieri”, che avevano intravisto durante quegli anni una possibile fonte di guadagno. E non è per caso che molti orefici fiorentini lasciarono l’arte della lavorazione dell’oro per trasformarsi in zecchieri, dato l’altissimo profitto che fruttava quel nuovo mestiere.

Tornando alla storia di Chiusi c’è da dire che la nostra città fu da sempre soggetta alle mire espansionistiche che Siena, Perugia e Orvieto avevano sulla Val di Chiana, ma, nonostante questo, riuscì a costituirsi in libero comune per 18 anni, affrancandosi, almeno per un po’ di tempo, dal giogo di queste potenze. Chiusi, purtroppo, era un bersaglio molto ambito data la posizione strategica che aveva e per mezzo della quale era facilitata nei commerci lungo una delle strade più importanti che conducevano a Roma. E fu proprio questo il principale motivo del breve periodo di monetazione e libertà della nostra città.

Non esiste alcun atto che ricordi l’avvio o il funzionamento della zecca, proprio perché Chiusi decise liberamente di coniare moneta e non si servì di documenti per accreditarla, o regolare, tramite contratti, i rapporti con gli zecchieri. La prima citazione di una moneta di Chiusi sui grandi libri, è dovuta a Vincenzo Bellini, nel suo “Dissertatio de monetis italiae medii aevi hactenus non evulgatis”, scritta nel 1756, pubblicata nel 1769. Si tratta del “Grosso Agontano”(2) in argento, del quale, in seguito, si conosceranno 5 varianti. Una seconda varietà è il “Picciolo in Mistura”. Alessio Montagano, nel suo “MIR-Toscana, Zecche Minori”, afferma: “il Grosso Agontano di Chiusi, rispecchia pienamente lo stile dei coevi volterrani e massani; come per Volterra, infatti, si osserva il santo mitrato e nimbato in piedi benedicente, al rovescio la croce patente accantonata da stellette a 6 raggi nel 2° e 3° quadrante”. Il santo rappresentato è San Silvestro, il vescovo di Fabriano che abbandonati gli studi di legge all’ università di Bologna, si ritirò in campagna per fondare l’ordine monastico dei Silvestrini.

E i numismatici di oggi confermano: “è la moneta con il più alto numero di varianti in assoluto in relazione alla rarità. Ogni esemplare conosciuto ad oggi, infatti, rappresenta una variante unica. Singolare è il Picciolo, che si differenzia dagli altri toscani per l’ assenza del santo a mezzo busto”. Il Picciolo di Chiusi(3) è un esemplare unico e fu battuto per la prima volta nell’ asta 21 di Negrini(4) del 25 maggio 2005. La sua fattezza, come attesta il “MIR”, è sintomo di un’influenza (anche stilistica) proveniente dal commercio con le zone dell’Adriatico.

Per chi avesse voglia di andare a vederlo, o si trovasse per caso a passare di lì, anche perché è molto difficile accedere alla collezione numismatica dello stato per ammirare l’esemplare conservatovi, ho rintracciato un altro “Grosso Agontano” di Chiusi nel Castello di Udine – Civici musei e gallerie di storia e arte – Gabinetto numismatico.

La moneta ha la sua “carta d’identità”, compilata dal comitato scientifico dello stesso museo: Autore/Emittente: Comune di Chiusi – Chiusi. Sec. XIV d.c. (1300 d.c. – 1399 d.c.). Moneta – grosso di tipo agontano – argento/coniazione. Materiale: argento. Diametro: mm. 21. Peso gr. 1,83. Dritto: croce patente accantonata da stella a sei raggi nel 2° e 3° angolo entro cerchio rigato. Legenda dritto: + foglia DE foglia CLUSIO foglia. Lingua dritto: Latino. Rovescio: di prospetto benedicente con pastorale nella sinistra; in alto, nel giro della legenda accanto al pastorale, globetto. Legenda rovescio: .S. SILVESTER. Lingua rovescio: Latino. Stato di conservazione: ottimo.

1) Monsignor Francesco Liverani, nel suo scritto “Il ducato e le antichità longobarde e saliche di Chiusi”, sostiene che la zecca chiusina si trovava “ …. queste macerie, novellamente scoperte ci persuadono che la chiesa di s. Silvestro nell’Aciliano o Lanciniano fosse la medesima, della quale fanno menzione le antiche carte. Nel 790 è detta corte di s. Silvestro e nel 836 è ricordato il mercato di lei, ossia il piazzale che vi correva intorno. Quivi sorgeva ancora l’antica zecca chiusina… fuori del ripiano dove si estendono ora i poderi i Forti – con la Petriccia…”

2) Agontano: (dal latino anconitānus, anconetano) moneta medievale del comune di Ancona detta anche “grosso”. Il valore era di un soldo da 12 denari.

3) Uguale al “grosso” ma di minor diametro e peso. A volte era coniato “in mistura”, vale a dire d’argento misto ad altri metalli.

4) Cataloghi, Aste Pubbliche, Studio Numismatico Raffaele Negrini, Via privata Maria Teresa 4 – 20123 Milano.

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3 risposte a La zecca di Chiusi e il Grosso Agontano

  1. carlo sacco scrive:

    Fulvio, ho cercato soprattutto nei cataloghi vecchi degli anni ’50 e 60 (Cermentini,Yeoman ed altri riguardanti le monete medioevali,e soprattutto quelle auree,ho cercato su internet ,ma della storia del ”tremisse anonimo di chiusi in oro” non ho trovato traccia.Questo però non vuol dire che non esista o sia in qualche luogo magari anche inconsapevolmente riposto e che gli sia stata attribuita una provenienza non corretta. E’ un mistero, ma dalla mia scarsa conoscenza così a lume di naso mi sembrerebbe strana la cosa proprio perchè l’oro era in quel tempo un materiale talmente raro e costoso per l’economia di allora che dubito che una zecca di Chiusi ne abbia coniato dei pezzi.Chiusi non era nè Milano,nè Mantova,nè Venezia.Tutto può essere.Non sò se nel”Corpus Nummorum Italicorum” c’è tale descrizione ma ne dubito.Un mistero più recente di quello di Porsenna, magari di dimensioni più modeste,ma mi piacerebbe indagare,ma manca la materia prima degli studi che ci hanno preceduto.Don Bersotti per esempio non ostante mostri il ”grosso d’argento” a pag.134 non ne parla.E’ veramente un mistero.Ma chi ti dice che possa essere stato coniato in talmente pochi pezzi(magari uno o due solamente) da un privato e fatto passare per conio della zecca chiusina ?La Storia è piena di queste cose.Guarda quella di Firenze……nel comune di Pistoia(non ricordo la località precisa)nel medio evo c’era la fabbrica del falso d’argento…

  2. fulvio barni scrive:

    X Carlo (Sacco) Scusa il ritardo con cui ti ho risposto ma ho aperto solo ora il computer. La notizia del tremisse anonimo di Chiusi l’ho trovata tempo fa, per caso, in una discussione su un forum di appassionati di numismatica. Uno di loro era certo che Chiusi avesse coniato tale moneta, ma gli altri erano piuttosto perplessi. Da ricerche fatte in seguito ho trovato uno scritto del signor Ermanno A. Arslan, esperto di numismatica, del 1998, dove dice, tra altre cose, che nel suo archivio conserva foto di varie coniazioni di tremisse, tra i quali un pezzo che indica così: – indeterminato (flavia) (in passato attribuito a Chiusi), 1 esemplare a Londra/British Museum. Non so dirti altro di preciso, apposta sull’articolo ho scritto: “ma al di là della certezza che ciò sia vero ……”

  3. carlo sacco scrive:

    Fulvio mi sorprendi non poco…dove hai trovato la notizia del conio della moneta aurea di Chiusi ( un terzo di solido) che sarebbe custodita al British Museum di Londra ? Tale notizia non la conoscevo e più che altro come si fa ad individuare che è una moneta coniata dalla suppopsta zecca di Chiusi se non esiste alcuna indicazione sul conio di tale moneta?
    Non sono uno studioso numismatico ma m’interessa tutto ciò che è legato a questa nobile arte del conio ed alla diffusione monetaria,e non avevo mai sentito una notizia del genere.Per quanto riguardava l’argento si, e mi sembra che proprio tu dicesti che al Museo di Chiusi erano presenti due pezzi, reputati unici o quasi,uno dei quali si troverebbe nelle casseforti della Zecca di Stato a Roma perchè da loro richiesto,mentre il rimanente pare sia stato rubato.
    C’è materia di cui crogiolarsi nel mistero….Ti sarei grato se potessi citare la fonte sulla moneta aurea detta del ”tremisse anonimo”comune ad altri coni aurei d’epoca.E’ proprio vero. più si sà e più si sà di non sapere….

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