“Chiusi moderna” secondo gli storici dell’800

di Fulvio Barni

Nel proseguire con la storia di Chiusi, questa volta voglio riportare integralmente quello che Emanuele Repetti(1) scriveva nei primi anni trenta dell’ottocento, nel 1° volume del suo Dizionario geografico fisico storico della Toscana, a proposito della nostra città. Di fatto si tratta di una “fotografia” di Chiusi dei primi anni del XIX secolo. Data la lunghezza dello stesura, però, il tutto avverrà in una serie di tre articoli. Il primo riguarderà la “Chiusi Moderna”, il secondo la “Diocesi di Chiusi” ed il terzo la “Comunità di Chiusi”. La lingua in cui è redatto il testo è l’italiano ma, ovviamente, quello usato in quegli anni e quindi nella composizione dei discorsi, e per la presenza di vocaboli obsoleti, parrà il tutto un po’ arcaico, ma comunque di facile interpretazione.

Chiusi Moderna – Parlo di Chiusi dopo cessate le convulsioni repubblicane, dopo estinta l’idra a cento teste dei personali più che politici partiti, dopo che terminarono le guerre municipali; parlo di Chiusi risorta fra le ceneri e i cocci dei suoi etruschi o romani sepolcreti; parlo di quella città che comincia a respirare aura più salubre fra colmate campagne, e che rinasce dopo 26 secoli a nuova vita nella Chiusi moderna.

La distruzione dei suburbi e di alcune case presso Chiusi, ad oggetto di facilitare la difesa della rocca e rendere meno accessibile la città ai nemici, devesi ai preparativi guerreschi fatti nel 1553 e 1554 dalla repubblica senese. Furono, direi quasi, gli ultimi monumenti di distruzione contemporanei alle prime riparazioni idrauliche da Cosimo I ordinate, e con tanto impegno dall’Augusta Dinastia felicemente dominante in Toscana proseguite a vantaggio dei popoli tutti della Val-di-Chiana.

Il Comune di Chiusi continuò sotto i granduchi Medicei a governarsi coi suoi propri statuti scritti in pergamena sino dall’anno 1530. Tre porte introducono nella città, quella a ponente denominata Porta S. Pietro; una a settentrione appellata Porta Gavinea, o Lavinia, e a levante la terza che appellossi di S. Mustiola ora di Pacciano ossia Porta del Duomo. Due porticciole senza nome nel recinto della rocca erano destinate alla sortita della guarnigione in casi di guerra. La fortezza di Chiusi si nomina sin dal secolo XII, sebbene più volte restaurata e rifatta. Le strade sono quasi tutte spaziose, abbellite da due secoli in poi da nuovi e ben costruiti palazzetti.

La città sotterranea è quasi tutta vuota, il che agevola ai proprietari la costruzione di vaste cantine in quel suolo ghiaioso e tufaceo. Fra gli edifizi sacri primeggia la cattedrale a tre navate con otto arcate per parte a sesto intero, sorrette da 18 colonne di varia grandezza e qualità di marmi, sostenenti capitelli di ordini diversi, e che appartennero a più antiche fabbriche. Anche l’urna, dove attualmente riposano le reliquie di S. Mustiola nell’altare maggiore, fu cavata da un’antica colonna di marmo numidico, che trascurata giaceva presso la chiesa dei soppressi monaci Silvestrini, oggi detta la chiesa della morte. Il capitolo di questo duomo ha 9 canonici con due dignità, l’arciprete che è il primo curato, e il proposto, con numero corrispondente di cappellani e benefiziati.

Delle mure etrusche chiusine non resta altro che un frammento a grandi poligoni dietro al coro della cattedrale. La chiesa di S. Francesco, apparteneva ai frati conventuali sino al sceolo XV.

Essa è stata recentemente restaurata dalla pietà dei chiusini, e nella sua canonica risiede un parroco da cui dipende la cura di Dolciano. La chiesa di S. Apollinare cadente, e profanata sul declinare del secolo XVII, fu posteriormente restaurata e ridotta a oratorio privato. Da lungo tempo inanzi era mancata quella del primo ospedale di Chiusi dedicata a S. Ireneo compagno nel martirio di S. Mustiola. La chiesa di S. Stefano Protomartire, alla quale era unito un asceterio di monache dell’ordine di S. Agostino, possiede una tavola del santo titolare, lavoro squisito di Ulisse Gnocchi da Monte S. Savino. Il monastero attualmente è ridotto a conservatorio regio per l’educazione delle fanciulle che vi si accettano a convitto.

La chiesa di S. Maria, un dì appartenuta ai monaci Silvestrini, attualmente ufiziata da una compagnia laicale, detta di Carità, somministrò al vescovo Piccolomini i fondi per stabilire un seminario e mantenere i rispettivi maestri, cui furono aggiunte le rendite della soppressa parrocchia di S. Faustino e di quella della Madonna della Querce al Pino ripristinata sul declinare del secolo XVIII. Che se il seminario non si mantenne gran tempo in piedi, non mancano però in Chiusi cattedre per l’istruzione elementare, letteraria ed ecclesiastica, dove i chierici che la frequentano godono del privilegio dei seminari, mentre quelle scuole sono dipendenti immediatamente dal vescovo.

Fra gli edifizi pubblici moderni si contano l’episcopio, il pretorio, il palazzo della comunità e il teatro. Nel 1832 fu ampliato il gioco del pallone vicino alla rocca (oggi p.zza Vittorio Veneto). Presenta esso la figura di un vasto circo, nel cui centro fu innalzata nel 1834 una colonna che rammenta un faustissimo avvenimento per la Toscana nella seguente iscrizione: Connusio Aug. Res. Etruriae. Firmetur. Altra simile colonna fu contemporaneamente eretta nella così detta piazza grande destinata a celebrare il compito precedente augurio della nascita del G. Principe Ereditario della Toscana. Il circo è contornato da sedili in pietra, o d’alberi alternanti con basi che sostengono diversi monumenti etruschi e romani trovati nelle grotte chiusine. Ma ciò che richiama sopra ogn’altra cosa la curiosità dell’erudito viaggiatore sono i privati musei raccolti da nobili e zelanti chiusini, fra i quali si distinguono quelli delle case Paolozzi, Sozzi e Casuccini.

L’ultimo nominato merita per sé solo una visita degli archeologi a Chiusi. Della dovizia d’antichi monumenti d’arte ivi custoditi diedero solenni prove i proprietari medesimi, per cura dei quali furono incisi in rame, e in 216 tavole rappresentati i più interessanti; illustrati ciascuno di essi dall’eruditissimo cav. Francesco Inghirami, e di vari ragionamenti (in numero di XVIII) dalla penna del prof. Domenico Valeriani adornati: formando del tatto due grandi volumi del 4° papale, pubblicati nel 1833 e 1834 sotto il titolo di MUSEO ETRUSCO CHIUSINO; opera che, mentre onora gli editori, accresce lustro e splendore alla loro patria. Chiusi si gloria di essere la patria di Graziano monaco Benedettino che fiorì nella prima metà del secolo XII, e fu autore del famoso decreto conosciuto sotto il suo nome. Da Chiusi trassero pure origine le casate patrizie senesi Della Ciaja e Dei, e in Chiusi nacque Bartolommeo Macchioni autore di un’operetta sulla famiglia Cilnea che pubblicò nel 1699. Ottennero il patriziato di Chiusi, nel secolo XVIII, l’abile giureconsulto Cristoforo Cosci, autore di due opere legali, una sotto il titolo: De separatione tori coniugalis, e l’altra De sponsalibus filiorum familias. Fu pure patrizio chiusino Jacopo Gori che scrisse nel secolo XVII l’istoria di Chiusi, da noi più volte citata. Finalmente in Chiusi si trapiantò un ramo della famiglia Petrarca dall’Ancisa, di cui resta un’arme gentilizia sopra la porta di una casa, nel 1559 fabbricata da Nicolao Petrarca Ancisano, al quale pare appartiene una tomba gentilizia esistente nella cattedrale”.

(1) Emanuele Repetti nacque a Carrara, terzo di dieci figli, nel 1776. Nel dicembre del 1793 partì per Roma e si iscrisse alla facoltà di chimica presso l’Università. Repetti entrò quindi a lavorare come apprendista prima nella farmacia del prof. Vincenzo Garrigos e poi in quella di G. B. Marcucci, avendo così modo di appassionarsi alle scienze naturali. Si trasferì dunque a Firenze e lavorò alle preparazioni medicinali presso la Farmacia di S. Teresa in S. Paolino di cui divenne proprietario nel 1813. Nello stesso anno Repetti, che era rimasto vedovo nel 1810, si sposò con Giulia Rossi, dalla quale ebbe dieci figli. Fu nel 1830 che Repetti cominciò a pensare al piano del “Dizionario geografico fisico storico della Toscana” ed intensificò gite ed esplorazioni per tutto il suolo toscano, che aveva intrapreso in modo sistematico fin dall’anno precedente, dopo aver rinunziato all’incarico presso l’Accademia dei Georgofili, di cui fu Segretario degli Atti dal 1827 e socio ordinario dal 1824. Nel maggio del 1831 venne pubblicato sull’Antologia il Manifesto del Dizionario. Gli abbonati all’opera furono numerosi e i fascicoli del Dizionario ebbero una straordinaria diffusione. Molti furono anche i riconoscimenti ufficiali che Repetti ebbe per i meriti della sua opera. Emanuele Repetti morì il 12 ottobre del 1852.

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