Aneddoti chiusini

 di Fulvio Barni

Sempre a proposito di osterie vorrei raccontarvi alcuni aneddoti strettamente legati a quell’ambiente.

Quelli che non sono avvenuti all’interno di esse sono stati raccontati comunque lì, in compagnia di amici e davanti ad un immancabile bicchiere di vino. Poi di bocca in bocca hanno fatto il giro del paese finendo nella tradizione orale di cui è ricca la nosta storia.

L’aringa

Quattro amici, una sera, mentre si trovavano in una nota osteria di Chiusi, decisero di fare una partita a carte. Il premio in palio erano due aringhe. Giacco, un chiusino che abitava nell’ immediata periferia del paese, alla fine della partita risultò uno dei due vincitori. Prese l’aringa che gli spettava e dopo averla involtata con un pezzo di carta, se la infilò sotto la giacca abbottonata. Così fece per essere libero di mettere le mani in tasca e proteggerle dall’aria pungente dovuta al freddo che faceva fuori. Incamminatosi verso casa, quando fu ad un certo punto avvertì  una necessità impellente che premeva per uscire. Accostatosi al ciglio della strada ed esauriti tutti i preliminari che la procedura abituale di tale operazione richiedeva, dette il via all’innaffiamento. Sfortuna volle, sommata ad alcune dosi abbondanti di vino, che non fosse l’oggetto indispensabile per tale manovra ad essere afferrato da Giacco, bensì l’aringa. Che nel frattempo era scivolata fin dentro i pantaloni. Il suo compagno di strada, che lo attendeva  in disparte, e non era al corrente di cosa stesse succedendo di preciso, rimase molto perplesso nell’ udire queste parole: “che eri bellino lo sapevo, ma l’occhini celesti ‘un te l’ avevo mai visti”.

 Il vero rispetto

Un uomo rientrava una sera dall’osteria. Abitava in campagna e era riscaldato da notevoli quantità di vino. Giunto di fronte all’ edicola che custodiva l’immagine di una Madonna, attaccò con un monologo che solo un chiusino (perdonatemi la partigianeria) poteva immaginare. Toltosi il cappello in segno di rispetto esclamò: ” Bona sera Maria! Io e te siamo uguali. Te c’ hai ‘n figliolo morto ‘n croce e io c’ ho ‘n figliolo morto ‘n guerra. Te se’ piena di Grazia e io so’ pieno di vino. Che famiglie disgraziate le nostre! Bonanotte Maria! “. E dopo essersi rimesso il cappello, riprese il suo cammino.

Cacciatore e…galline

I vecchi Chiusini narrano di un certo Menotti, famoso cacciatore chiusino di…nane e di galline. Una sera, particolarmente in vena, raccontava agli amici dell’osteria:  “T’ entro ‘n un pollaio, ‘na sera nera come la pece. Le galline, ste maiale, o ‘n si mettono a starnazzà’ , Coccodè, coccodè, ma forte, che svegliarono ‘l padrone. Questo, mette ‘l capo fori de la finestra, co’ la papalina ‘n testa, camicia da notte, e doppietta ‘mbracciata. “Chi sete?”  berciò.  Io, visto che dormiva da ritto risposi : “Semo noi!”,  “Chi noi?”, chiese ancora ‘l contadino mezzo addormentato. “Noi, le galline, fò’ io”. ”Ah! Meno male, credevo fosse la volpe, rispose lui, e tornò a letto”.

Sarà vero? Sarà falso? Comunque sia, credetemi, in questo dire c’è tutto il gustoso parlare dei Chiusini.

 Le nane

Al nostro amico Menotti, in un tardo pomeriggio autunnale, mentre tornava dalla campagna con un grosso “Passaiolo” (retino a maglie piccole per la cattura delle rane lungo i fossi) sulle spalle fu chiesto: “Menotti, quante granocchie hai chiappato oggi?”  E lui con disinvolta naturalezza rispose mostrandole:  ” Mi! Tre passaiolate, du’ nane (anatre)”.

Ripide discese

Fino a qualche tempo fa, a Montevenere, piccola frazione di Chiusi, c’era una di quelle rivendite odorose dove si trovava di tutto, dai tabacchi al pane, dal sapone alla pasta. Naturalmente era anche mescita di vino con gioco delle carte. La sera i lavoratori vi si riunivano davanti ad un “quartino” a commentare la giornata e a scambiarsi quelle informazioni e consigli che rendevano, a differenza di oggi, gli uomini più vicini tra loro. Una partita, una chiacchierata, poi a letto. Un personaggio del luogo, dopo un paio di partite decise che era ora di rientrare. Salì in bicicletta e via per la ripida discesa che porta a valle. Se non che, sarà stato per la scarsa illuminazione, sarà stato perché forse aveva sbevucchiato abbastanza, fatto sta che andò a prendere in pieno un passante che stava attraversando la strada in quel momento. Un gran botto, un momento di assoluto, silenzio poi ad un tratto: “I briachi a letto la sera” esclamò il passante investito. ” Sé’, o io ‘n do’ ‘ndavo? Sè’ te che m’ ha’ paro” rispose il ciclista”. “Però almeno potevi sonà’”, suggerì l’investito. “O che sapevo che ti piaceva la musica?”, rispose il pedalatore. “Ora lo sai che fò’? – disse l’investito – chiappo e vò’ a lo Spedale”. ” Vengo anch’io – fece conciliante il briaco – Almeno ti fò compagnia”. Proprio altri tempi!

Il pozzo di San Patrizio

Sempre il nostro amico Telesfero, trovandosi un giorno di passaggio ad Orvieto, venne interpellato da un turista che lo aveva ritenuto autoctono. “Quanto è profondo il pozzo?” Chiese in italiano stentato il visitatore. Telegrafico il chiusino, sempre pronto con la visciaia: “Tre sassate all’ingiù”, rispose. Non è dato sapere quale sia stata la reazione dello straniero ma, certamente, non capì un acca.

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3 risposte a Aneddoti chiusini

  1. Daniele scrive:

    Mi sà che quel Giacco era il babbo del mi socero…..

  2. lucianofiorani scrive:

    Oggi, parafrasando il Menotti, si potrebbe dire:
    “Mi! Una passaiolata, tre interviste!”.

  3. Fulvio, ma no ci avevi promesso uno scoppiettante “Porsenna” per quest’anno? Siamo in trepidante attesa!

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