Dedicato ad Antonio

barbonedi Gisella Zazzaretta

“L’ultima volta che ti ho visto ti ho detto:” Mi raccomando Antonio, se  hai bisogno chiamami; sta arrivando il freddo e non puoi dormire alla  stazione!”. E tu a me:” Stai tranquilla Gisè che mi arrangio e semmai ti chiamo. Tieni,porta questi alle tue nipotine”. E mi regalasti i cioccolatini, come altre volte hai fatto. Ti ho ringraziato e baciato e  ricordo ancora la tua barba grigia, folta e morbida (cosa strana per un  barbone). Te ne sei andato così, senza altre parole. Due giorni di  ospedale (di cui ho saputo solo per caso) e non so nemmeno dove sei sepolto. Mi dispiace di non aver fatto abbastanza per te, la tua morte  grava sulla mia coscienza ma, “lassù” mi passerai avanti”.

Antonio abitava a Tavola di René e si curava per il diabete. E’ la prima  vittima da dopo la chiusura della struttura. Chi sarà il prossimo a  morire di freddo o per mancanza di cure?

In una omelia ho sentito dire:” Il cristiano, prima di tutto, deve  annunciare il Vangelo! Sì, anche le opere vanno bene, ma prima di tutto  il Vangelo!”.

Bene. Allora,mettiamo che io vado alla stazione o per la  strada e trovo una persona infreddolita, affamata, senza tetto e le
dico:” Non ti preoccupare, fratello, la buona notizia per te è che Gesù  ti vuole bene e vuole il tuo bene!”. E poi?……..

Gisella Zazzaretta

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4 risposte a Dedicato ad Antonio

  1. gisella zazzaretta scrive:

    Certo che è difficile, Paolo. Molto difficile. Ognuna di queste persone nasconde qualcosa di se stessa, prima ti adula perché l’hai tolta dalla strada, poi comincia a pretendere, si insultano a vicenda, ognuna si sente meglio dell’altra come se non venissero tutte dalla stessa strada. Queste persone hanno bisogno di essere ascoltate (anche se sai che mentono o ti vogliono prendere in giro) con il sorriso, educazione e gentilezza. Solo questo le disarma. Ci sono anche persone impossibili da trattare, ma quelle se ne vanno spontaneamente o, talvolta, devi usare le maniere forti.
    Certo che è difficile, molto difficile e poco alla volta rimani da solo. Non si può aiutare solo chi “merita” di essere aiutato. Troppo facile così perché poveri e barboni puzzano, pretendono, rompono e mettono a rischio la nostra borghese tranquillità. Non voglio dire che tutti debbano occuparsi di accoglienza di senza tetto, ognuno può fare la sua parte secondo le proprie possibilità. Ma se non lo facciamo insieme non ci rendiamo conto dei diversi tipi di povertà che sono presenti nel nostro territorio. Rimaniamo tutti nel proprio orticello. Per questo credo, e vorrei tanto sbagliarmi, che non ci sarà più qualcosa come Tavola di René dove bianchi, neri, cristiani, musulmani, atei stavano insieme, dove circa 30 persone dormivano e mangiavano (colazione, pranzo e cena per un totale di circa 2500 pasti al mese), dove si distribuivano generi alimentari alle famiglie per circa 650 persone al mese (grazie a supermercati,negozi, bar che gratuitamente ci rifornivano per combattere insieme lo spreco alimentare). E poi le docce, le lavatrici, il riscaldamento, le cure mediche (grazie al dott. Fabio Boldrini per le cure dentali gratuite, al dott. Francesco Galeotti e agli infermieri per la loro grande pazienza), il taglio dei capelli (grazie alla parrucchiera Paola in via Pasubio). Ora mi rendo conto dell’enormità della cosa cui io e Claudio abbiamo creduto.
    Un grazie particolare a Daniela Melchionna, che, pur non essendo cuoca di mestiere, ha cucinato per noi per più di un anno. Poteva permettersi di fare il riso scotto o l’arrosto bruciacchiato (raramente, per la verità) ma dava e riceveva sempre da tutti un sorriso o una parola buona. Unica persona, in dieci anni, su cui abbiamo potuto riporre la nostra fiducia.
    Infine un grazie a Beppe Scarpelli, Maurizio Patrizi, Michele Salerno e famiglia, Antonio Marchi: loro sanno perchè.

  2. Paolo Scattoni scrive:

    x Luca Scaramelli. Sono fra quelli che pensano che il il cosiddetto terzo settore è ormai una componente importante delle attività umane. I modelli economici classici non lo comprendono perché quelle attività venivano considerate marginali e poco influenti. Oggi abbiamo invece bisogno di aggiornarli. Che poi la “pietas” faccia parte di molte religioni è parte della storia dell’umanità ed è normale che molti creddenti il problema degli emarginati se lo pongano.

  3. Luca Scaramelli scrive:

    Oltre che un ricordo di una persona che non c’è più mi sembra uno sfogo verso una teoria religiosa che come spesso succede si scontra insistentemente con la realtà. Comprendo è credo che di fronte a fatti come questo qualche convinzione possa vacillare. Penso che più che ai dogmi ognuno debba rispondere alla propria coscienza. Io da ateo faccio la mia parte nei confronti di chi ha bisogno proprio basandomi sulla coscienza non dovendo rispondere a es un altro è non avendo poi la possibilità di poter mondare i miei peccati la domenica in chiesa.

  4. Paolo Scattoni scrive:

    Ho conosciuto Antonio al pranzo comunitario del lunedì, mercoledì e venerdì organizzato dalla parrocchia di Chiusi Scalo. Qualche volta per strada mi chiedeva i soldi per un panino. Credo avesse una famiglia con la quale immagino non fosse in buoni rapporti. Sebbene non ne conosca molte di queste storie, ma sono tutte diverse. Affrontarle è difficile.

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