Due pirati tanto diversi fra loro

di Paolo Scattoni

Mentre sul sito di chiusiblog stavamo combattendo con il secondo attacco informatico, è arrivata la notizia del suicidio di Aaron Swartz (26 anni) a causa della minaccia di 35 anni di reclusione per aver “rubato” cinque milioni di files della biblioteca digitale JSTOR. Allora la possibile distruzione di un sito ha lo stesso valore del “furto” di Swartz? Assolutamente no. E vediamo il perché.

Chi ha danneggiato il nostro sito non esprime alcun valore positivo. Nella migliore delle ipotesi ha agito per lanciare un avvertimento al nostro provider ARUBA (chi ci ospita dietro pagamento) a stare attento perché facilmente attaccabile. Molto più probabilmente si tratta di un atto di puro vandalismo o ancor peggio su commissione.

L’azione di Swartz è stata diversa. Intanto va detto che è un personaggio ha messo a disposizione la sua geniale opera per migliorare il web che utilizziamo tutti i giorni. E’ stato fra i fondatori di creative commons, la possibilità cioè di depositare opere in modo tale che possano essere utilizzate senza dover versare i diritti d’autore. Per questa azione il procuratore (quelli che negli USA si eleggono e che guardano troppo spesso alla propria carriera politica che alla giustizia) lo voleva condannare a 35 anni di reclusione.

Il “furto” di cinque milioni di file è stata un’azione dimostrativa per sensibilizzare tutti noi sul problema della diffusione dei risultati della ricerca.

Ecco quello che avviene. Il ricercatore, di solito pagato con  soldi pubblici, produce risultati che invia a una rivista scientifica. Il mercato delle riviste è concentrata per il 90% nelle mani di pochissimi editori. L’articolo, che non viene pagato, viene spedito a due “revisori” che anonimamente e gratuitamente lo valutano e raccomandano o meno la pubblicazione. Lavoro gratuito, ma la rivista per questo viene pagata profumatamente. La mia università spende svariati milioni di euro ogni anno per gli abbonamenti. Più di due milioni di euro soltanto per gli abbonamenti in digitale. Ma quante università africane (ma anche europee) si possono permettere questi abbonamenti di riviste che contengono lavori offerti e  valutati gratuitamente agli editori?

Ecco qual’è stato il messaggio di Aaron Swartz.

Questo è un tributo alla memoria di un ricercatore di grandissimo valore e di grandissima generosità.

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19 risposte a Due pirati tanto diversi fra loro

  1. carlo sacco scrive:

    ..a questo punto mi devo fermare perchè vedo che procedere oltre non serve se c’è un dialogo fra sordi..II fatto della proprietà intellettuale se deve essere abolita o riformata non è che per caso ti sembra che possa essere il frutto ed implichi anch’ esso ciò che il sistema economico possa considerare per agevolare o ritardare le proprie finalità? O tutto questo ti sembra frutto di un arido schematismo al quale vengano sottoposte forzatamente cose e questioni che non ci debbano rientrare nel discorso ? Perchè c’è la tendenza a non andare mai al di là e di voler considerare solo gli aspetti dal punto di vista più rigido possibile e non vedere le conseguenze che possono derivare dal fare in un modo oppure in un altro ?

  2. Diciamo che, per mettere insieme le parti, forse la proprietà individuale andrebbe rivista in maniera da darle la dignità di uno strumento per la protezione dei diritti del piccolo nei confronti del grosso.

    Raramente viene invece usata in questo senso, ma piuttosto come deterrente alla competizione, quando non un modo per tirar su qualche lira (il brevetto del “cursore” é un esempio lapalissiano).

  3. pscattoni scrive:

    Carlo, non è proprio possibile costruire tramite affermazioni apodittiche un modello generale dell’universo per poi farci rientrare tutto come una macchinetta. Qui siamo partiti dal problema della proprietà intellettuale. Deve essere rivista o addirittura abolita. Su questo sono d’accordo molti in una parte (libero mercato) e nell’altra (mercato regolato tramite intervento dello stato). Possiamo parlare di questo?

  4. carlo sacco scrive:

    .e c’è dell’altro :Tomassoni dice che la piccola o media azienda potrebbe immettere idee innovative nel mercato con più facilità e velocità ed i vari settori ne sarebbero anche avvantaggiati.Tutto questo si ricondurrebbe quasi certamente per un limite all’espansione dei profitti delle multinazionali del settore che dispongono di grandi risorse e fruiscono di innumerevoli casistiche in direzione degli interventi sperimentali.Tutto questo che mi trova d’accordo come fotografia della realtà possibile,alla fin fine dimostra che la negazione degli spazi e dell’apertura verso i soggetti individuali portatori di intelligenze di livello,possa anche nuocere alle stesse multinazionali ed alla collettività tutta a causa della lentezza con la quale viene messa in atto la diffusione innovativa.Il monopolio lavora spesso anche contro se stesso anche se accompagna la sua attività con crescenti profitti.Guardiamo un momento alle conseguenze dirette od indirette e le ripercussioni sul sociale che scaturiscono da questo.Non tutto spesso è quantificabile con un prezzo sopportato,ma sono le conseguenze che possono pesare e che in tal caso pesano.

  5. carlo sacco scrive:

    Paolo tu dirai che sono ”un fissato” ma il problema ancora una volta è POLITICO.Ogni sistema tende alla propria perpetuazione e non tollera l’innovazione che possa uscir fuori dal proprio controllo e che possa produrre altri rivoli che potrebbero portare alla frammentazione del suo potere.Ciò che si perpetuerebbe nella normalità è quello che avviene già oggi anche non scomodando Boldrin,Levine ed altri ma avviene secondo gli automatismi di questo sistema:Il ”tetto-pavimento” della scuola Keneysiana e post Keneysiana ne è la dimostrazione.Purtroppo altri sistemi non esistono e quelli sperimentati fin’ora hanno abortito ma credo che i semi che hanno gettato possano germogliare al cospetto del dilemma eterno dei bisogni contrapposto alla limitatezza delle risorse.Questa è la condizione della Rivoluzione di cui si ha tanta paura e che si nega per mantenere il proprio status,ma credo che sia inevitabile,non tanto nei ”forconi in piazza” ma dalle stessa vitalità intellettuale delle persone che capiscono che ci si salva tutti o non si salva nessuno.Ed assistiamo purtroppo a tentativi di deviazione dei problemi per poter campare alla giornata. Quindi la Rivoluzione che rifiuta il riformismo (facciamo le riforme basta che non cambi nulla…)alla fine è la sola cosa che ritengo possa spazzar via un sistema siffatto.

  6. pscattoni scrive:

    Rispondo sia a Carlo (Sacco) che a Giampaolo (Tomassoni). Due economisti che operano in USA, Boldrin (italiano) e Levine (americano), nel volume che ho già citato “Abolire la proprietà intellettuale”), dimostrano che il copyright e i brevetti sono un ostacolo allo sviluppo dello stesso sistema capitalistico e in contrasto con i canoni del libero mercato. Quindi una contraddizione interna al sistema. Insomma se si riesce ad abolire l’attuale sistema si fa sicuramente una cosa buona per tutti, (ad eccezione di quei quattro o cinque editori: americano, inglesi e tedesco che con il loro oligopolio succhiano tante risorse che potrebbero essere utilizzate in altro modo), ma nono la rivoluzione.

  7. Secondo me ha ragione Sacco: impedire l’accesso gratuito all’informazione tecnica (e non solo) non avvantaggia solo gli editori, ma anche e sopratutto chi di quell’informazione ne può fruire (o, addirittura, la produce) perché può tranquillamente investire una quota irrisoria del suo budget in pubblicazioni per arrivare a produrre sistemi e mezzi innovativi.

    Arrivo a dire che la multinazionale, la grande industria, sarebbe notevolmente svantaggiata sul tavolo dell’innovazione se certi tecnicismi fossero di libero accesso: la piccola e media azienda, piú agile, avrebbe facilmente la possibilità di arrivare prima nell’immettere idee innovative nel mercato…

  8. carlo sacco scrive:

    …ma nemmeno per sogno Paolo.Mi stupisce la tua risposta perchè dopo il contenuto del tuo Post che-pur non avendo la tua conoscenza sull’argomento-non ho difficoltà a condividere, mi appare suigeneris una risposta del tipo che hai dato su ciò che ho espresso nel mio articolo.Ma come?Mi sembrava palese che il problema che ho evocato sia di etica sistemica nella quale tutti i maggiori meccanismi funzionano per validare il punto di vista dell’establishment e tu mi rispondi che il problema è un fatto nettamente più semplice solo relativo alla ricerca del profitto di 4 editori ?Io avevo evocato una questione soprattutto etica,che si pone soprattutto il liberismo dati i suoi fondamenti di democrazia,ma non applicato nei fatti da chi
    vuole controllare il mondo.Le ragioni profonde della fine di Swartz non sono i 4 editori che tentano di assicurarsi un domani fra la concorrenza ma l’assenza di una speranza che questo mondo possa essere aperto a tali intelligenze e sensibilità.

  9. pscattoni scrive:

    Carlo (Sacco) tutto molto più semplice. Ci sono tre quattro editori (Elsevier, Springer, Blackwell, etc.) che fanno affari assai lucrosi sulla letteratura scientifica e non vogliono perdere qusta loro posizione sul mercato.

  10. carlo sacco scrive:

    …è la chiusura e l’attività legalmente reazionaria di un sistema come è quello che ci troviamo attorno(capofila gli Stati Uniti) e che ci da a tutti l’esatta dimensione di chi sia ” chi comanda ‘ e che non tollera la diffusione e l’utilizzo delle creazioni delle intelligenze e crea tutte le strutture di legge per metterle sottocontrollo.Solo avendone il controllo avrà il controllo delle innovazioni, della tecnologia, in pratica per i propi fini economici che coincidono con quelli del dominio materiale del mondo e del suo sviluppo.L’uno è la condizione soddisfacente dell’altro, anzi ne è la necessaria complementarietà.Solo una vera Rivoluzione può cambiare questo stato di cose,perchè come dicono i nostri vicini ”politici” che pensano che sia il riformismo che possa pian piano cambiare tutto ciò, anche loro sanno benissimo che dicono e propagandano una menzogna.E la loro accettazione tacita di ciò che avviene la dice lunga su quali siano le forze che hanno in grembo e le finalità a cui tendono.

  11. marco lorenzoni scrive:

    Come diceva uno dei protagonisti dei “soliti ignoti” sono sempre i più meglio che se ne vanno… Anche tra gli Hacker. Che sono poi dei soliti ignoti più sofisticati. Nel caso di Aaaron anche benemeriti…

  12. pscattoni scrive:

    Il WWW ha una storia recente e il passaggio non sara’immediato. I cosiddetti open journals sono stati un primo importante passo. Con alcuni allievi ne ho fondato uno ijpp.uniroma1.it
    Ha come finalita’ quella della diffusione internazionale della pratica della pianificazione in Italia. Molta fatica ma costi molto ridotti. Le procedure per la pu blicazionei sononq quelle delle riviste piu’ blasonate.

  13. Concordo anch’io sull’operato dell’hacker “buono”.

    Aggiungo che il problema dell’accesso all’informazione non riguarda solo il mondo scientifico, ma anche quello più terra-terra dell’ingegneria: la stragrande maggioraranza degli standard in tutti i settori dell’ingegneria sono accedibili solo a pagamento (per esempio gli standard ISO, ITU, ANSI ecc.).

    La cosa è ulteriormete aggravata dal fatto che molte pubblicazioni e standard a pagamento si rifanno a loro volta su (molte) altre pubblicazioni e standard, anch’esse a pagamento.

    Questo modo di fare ovviamente favorisce la multinazionale (per la quale l’investimento nella documentazione è solo una minima frazione di quello complessivo) a scapito della piccola azienda.

    Ad esempio, solo per costruirsi il proprio modem ADSL partendo da zero, una piccola azienda dovrebbe innanzitutto investire svariate centinaia di euro in copie degli standard ITU-T ed ANSI che hanno a che fare con quel protocollo.

    Faccio notare che un primo tentativo di successo di abbattere la barriera delle pubblicazioni a pagamento, è avvenuto proprio per definire i servizi internet: vengono tutti descritti, pubblicati e resi gratuitamente disponibili come RFC (Request For Comment) da IETF (Internet Engineering Task Force, che è stato uno dei motivi chiave del suo successo.

  14. Elisa Leandri scrive:

    A proposito di Aaron Wartz volevo segnalarvi questi due interessanti articoli: http://bibliocracy-now.tumblr.com/post/40476460831/the-last-days-of-aaron-swartz (Scritto da Myron Groover, ex studente della dott.ssa Luciana Duranti della School of Library, Archival, and Information Studies, The University of British Columbia) e http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-13/aaron-swartz-suicidio-hactivist-160937.shtml?uuid=AbzlPvJH. Buona lettura.

  15. pmicciche scrive:

    Dati quattro punti cardinali: Destra, Sinistra, Progresso, Conservazione – combinabili in diversi modi e a diverse gradazioni – questa è sicuramente una battaglia di Sinistra, in questo caso…Progressista.

  16. pscattoni scrive:

    xEnzo Sorbera. Copyright e brevettabilità vengono introdotti in Inghilterra nella seconda metà del ‘700. Sono stati SEMPRE un ostacolo al progresso scientifico e tecnologico, come, fra gli altri, dimostrano gli economisti Boldrin & Levine. Ti consiglio di leggere il loro libro “Abolire la proprietà intellettuale”.

  17. enzo sorbera scrive:

    Come noto, seppure le apprezzi molto, non condivido le posizioni di Swartz e della parte del movimento americano di cui era un esponente. Il libero accesso al materiale prodotto dalla comunità scientifica è sicuramente un obiettivo meritorio, ma romantico, cioè legato ad un’idea di scienza e di comunità scientifica che non esiste più, già dagli inizi del 900. Sono comunque grandi i suoi meriti (a 14 anni già era coautore della versione 1.0 di RSS) e il suo suicidio, che penalizza l’intera comunità del web, arriva come una conseguenza dell’accanimento con cui lo si è voluto perseguitare, mettendo sullo stesso piano i volgari vandali con uno dei membri di punta del movimento contro la legge statunitense sulla pirateria.

  18. luciano fiorani scrive:

    Complimenti a chiusiblog che ha trovato il modo di ricordare Aaron, “l’hacker buono”.

  19. Nicola Nenci scrive:

    I problemi che Paolo ha riassunto in questo articolo sono di bruciante attualità nel mondo scientifico. Molti intellettuali si stanno mobilitando per cercare di creare un approfondito dibattito sui problemi dei costi delle riviste scientifiche.
    L’articolo cui riferisco di seguito, offre un ottimo spaccato della situazione:
    http://micheledantini.micheledantini.com/2012/04/16/cultura-che-fattura-sul-costo-esorbitante-delle-riviste-accademiche/

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