Il Vescovo Giuseppe Pannilini

di Fulvio Barni

Giuseppe Pannilini nacque a Siena il 30 dicembre 1742 dal cavalier Girolamo e Faustina Pecci. Si laureò giovanissimo, all’età di 22 anni, nell’università della stessa città in diritto civile e canonico. Fu ordinato sacerdote nel 1770 e divenne subito canonico della collegiata di Santa Maria in Provenzano.

Era sua intenzione recarsi a Roma, presso la Santa Sede, per perseguire la carriera ecclesiastica. Suo zio, don Bernardino Pecci, monaco Olivetano, divenuto poi vescovo di Montalcino, lo dissuase. Giuseppe Pannilini ricoprì poi la carica di Vicario ad Causas nella Diocesi di Arezzo. In quel tempo le curie vescovili si occupavano anche di giurisdizione contenziosa.

Nel 1773 diventò vicario generale della Diocesi di San Miniato ed il 13 novembre 1775 fu nominato vescovo di Chiusi e Pienza. Il Cardinale Panfìli lo consacrò vescovo in Roma il 13 novembre dello stesso anno. Non poté entrare subito a Chiusi, come era sua intenzione, a causa dei lavori in corso nel palazzo vescovile. Il suo biografo, monsignor Giovan Battista Ciofi, anch’egli vescovo di Chiusi, suo successore, così lo descrive:

Fu Monsignor Pannilini di mediocre statura, bello di aspetto, regolare nelle altre forme del corpo, gentile ed affabile nel tratto e tale insomina che, appena veduto e per pochi istanti ravvicinato, non lasciava dubbio alcuno di avere un animo ben fatto per natura inclinato alle virtù, specialmente alla beneficenza”.

Giuseppe Pannilini, insieme a Nicola Sciarelli, vescovo di Colle Val d’Elsa e a Scipione de’Ricci, vescovo di Pistoia e Prato, formò il nucleo centrale del giansenismo(1) toscano. Tale movimento sosteneva, come principio fondamentale, l’incapacità da parte dell’uomo di venir meno ai vizi e alle trasgressioni, solo con le proprie forze, causa il peccato originale che aveva sulle spalle tutta l’umanità.

C’è da dire però che il giansenismo in Toscana, chiamato anche leopoldismo, dovuto al forte sostegno che ebbe da parte del Granduca, aveva assunto peculiarità proprie; a proposito della vita ecclesiastica, della diminuzione del potere temporale della chiesa, del ritorno della religione alle origini e della rinuncia ad ogni forma di “feticismo”. Non a caso i giansenisti chiedevano l’abolizione, o almeno il ridimensionamento, degli ordini religiosi e la soppressione delle confraternite.

La condanna del culto del Sacro Cuore e la contrarietà al dogma dell’Immacolata Concezione. A questi principi dottrinali, vi erano poi da aggiungere altre teorie che non poco infastidivano la Santa Sede. Basti ricordare quella che sosteneva la superiorità del Concilio Ecumenico nei confronti del Santo Padre, che altro non era, sempre secondo i giansenisti, il primo dei vescovi.

Tale opinione fu riportata dal Pannilini, nella sua “Istruzione Pastorale” del 16 aprile 1786, dal titolo, “La Sana dottrina”, un esemplare della quale inviò anche a Papa Pio VI, che a sua volta, con molta pacatezza, ma anche con fermezza, lo invitò a ritrattare. Il movimento giansenista toscano trovò il suo momento culminante nel Sinodo di Pistoia del 1786, con l’appoggio decisivo del Granduca Leopoldo I, interessato egli stesso ad una profonda riforma del Clero.

Nella conferenza Episcopale però, avvenuta a Firenze nel 1787, i vescovi fedeli al Papa furono in numero maggiore e persino Bernardino Pecci, vescovo di Montalcino, zio del Pannilini, fu contrario alle teorie sostenute dal nipote. Dunque, il giansenismo toscano, ebbe vita breve, ma il vescovo trovò lo stesso il tempo di mettere in atto alcune innovazioni all’interno della Diocesi. Soppresse, unì e costituì parrocchie. Fece demolire, o quasi, chiese antichissime come la Basilica di Santa Mustiola a Chiusi e la chiesa romanica di Santa Vittoria a Sarteano. Intervenne drasticamente sulla Cattedrale di Chiusi. Nella Chiesa di San Francesco, dichiarata da lui stesso, sede parrocchiale nel 1789(2), non esitò a far demolire gli altari laterali dedicati ai vari Santi, suscitando vive proteste dei patronati(3).

Tuttavia questa radicale trasformazione effettuata dal Pannilini, che stravolse l’originale impianto francescano, era destinata a non avere vita facile. Nel mese d’agosto del 1823, qualche giorno dopo i funerali dello stesso vescovo, il tetto della chiesa crollò e quindi fu necessario procedere ad una nuova serie di lavori che cancellarono gran parte dell’aspetto neoclassico che aveva assunto in precedenza. Lavori sostanziali furono effettuati anche nella collegiata di Chianciano, nelle chiese di San Casciano dei Bagni, di Sarteano, di Sinalunga e Torrita.

Potremmo comunque dire, senza il dubbio di sbagliare, che tutte le chiese della Diocesi di Chiusi e Pienza, subirono una serie d’interventi più o meno importanti.  Ma il vescovo Pannilini, al di fuori di tutte le contestazioni mossegli per le sue nuove teorie religiose e gli stravolgenti ai principi dottrinali, fu per la città di Chiusi un vero e proprio benefattore. E’ proprio il caso di affermare che sottrasse Chiusi da quei disastri che ancora la opprimevano, dopo le vicende politiche del medioevo.

Istituì la prima scuola pubblica, denominata “scuola popolare di lettura, scrittura ed abbaco” (è sua la creazione della “casa del leggere e dello scrivere”, accanto al chiostro del convento di San Francesco; oggi i locali originari sono adibiti a biblioteca comunale e Auditorium per convegni). Sfruttò in favore della città lo stretto rapporto d’amicizia che aveva con il Granduca Leopoldo I e ciò gli permise di avviare a soluzione l’antico problema della bonifica e della malaria.

E’ ovvio che le operazioni di bonifica ordinate dal Granduca lo interessassero personalmente, essendo lui stesso, per mezzo dei beni della mensa vescovile, uno dei più grandi possidenti della zona. Ma non fu semplicemente un beneficiario di ciò, bensì ispiratore della politica granducale nel territorio chiusino. Con pochissima spesa a carico della comunità locale, riuscì a far costruire nuove strade ed ottenne persino che gran parte dei terreni prosciugati fossero donati al comune di Chiusi.

La cessione delle bozze chiusine, per esempio, è evidenziata nel rescritto granducale del 17 agosto 1784. Riedificò quasi dalle fondamenta la residenza episcopale e fu così assicurata la permanenza a Chiusi del vescovo che fin dal tredicesimo secolo si era trasferito, causa la malaria, a Chianciano. Ricostituì nel palazzo vescovile la cancelleria e l’archivio, riordinando quest’ultimo con la classificazione per materie, parrocchie e paesi cui appartenevano le stesse. Fece operare scavi nell’orto vescovile ritrovando importanti reperti archeologici, tra i quali la famosa testa di marmo raffigurante Augusto.

Salvò dalla soppressione napoleonica del Monastero di Monte Oliveto Maggiore, i corali miniati benedettini, donandoli alla cattedrale di Chiusi, oggi molto ben esposti nel museo della Cattedrale.

Dopo un lungo episcopato si spense a Pienza il 4 agosto 1823. Il suo biografo, vescovo Ciofi, così descrive l’ultimo periodo della sua vita:

Un’ imprevista cagione lo richiamò a Pienza nel luglio 1823. Colà giunto cadde in leggera malattia di petto. Senza apprezzarla, come era suo stile e facendosi superiore al male, si prestava come da sano alle ingerenze del suo ministero. Intanto la febbre cresceva, i sintomi allarmavano e i medici lo persuasero a stare al letto e a munirsi del viatico…..Confortati i suoi alla fede, placidamente morì nel bacio del Signore ai 4 d’agosto del 1823, l’anno ottantaduesimo di sua età e quarantottesimo del suo episcopato…”

Intorno alla persona del vescovo Pannilini, come per tutti quei personaggi che hanno lasciato segni tangibili del loro passaggio terreno, c’è un alone di leggenda. I vescovi di Chiusi e Pienza, alla loro morte, erano seppelliti nella Cattedrale del luogo dove avveniva il trapasso. Per Monsignor Pannilini, come avete appena letto, ciò avvenne a Pienza, ed è proprio nel Duomo di quella città che la sua salma è stata tumulata. I chiusini, appena avuta notizia del decesso, pur essendo coscienti del fatto che questo non sarebbe stato possibile, chiesero ugualmente che la stessa fosse seppellita nella loro chiesa, tanta era la devozione e l’amore per questo loro benefattore. Quel desiderio, così fortemente espresso, non poté essere esaudito, riuscirono in ogni modo ad ottenere che almeno una sua parte riposasse nella nostra città. A Chiusi, qualcuno dice, ma nessuno però sa dire dove, che all’interno della Cattedrale di San Secondiano, riposi il cuore del tanto amato vescovo. Forse è lecito pensare che l’infinita riconoscenza verso questo prelato, abbia creato tale illusione nella mente dei più devoti.

(1) Il Giansenismo fu un movimento religioso fondato sulle tesi esposte da Cornèlio Giansènio, nome latinizzato del teologo fiammingo Cornelis Jansen (1585-1638), nel suo Augustinus, che ebbe un largo seguito in Francia e ripercussioni anche all’estero. Il Giansenismo, in Italia, entrò unitamente al pensiero filosofico e scientifico d’oltralpe con un carattere spiccatamente illuministico. Tale movimento ricevette l’ultima definitiva condanna da parte della Chiesa nel 1794.

(2) La nuova parrocchia di San Francesco fu costituita smembrando la parrocchia di San Secondiano ed unendovi quella di San Leopoldo a Dolciano che era stata istituita nel 1787.

(3) Nel 1793 Luigi Petrozzi chiese la riedificazione dell’altare di San Giovanni Battista il cui patronato apparteneva da secoli alla sua famiglia.

Questa voce è stata pubblicata in CULTURA. Contrassegna il permalink.