I sogni possono anche uccidere

di Carlo Sacco

Nella tragedia che ha colpito Marco Simoncelli e la sua famiglia , mi è venuta spontanea una riflessione su quanto detto da quest’ultima in tv e sono andato con la mente a quasi 50 anni or sono, quando anch’io come tante altre persone di Chiusi eravamo amanti dello sport motoristico, che  via via veniva allargando la sua presenza come un fenomeno di massa nel circuito dei media.

E’ normale che di fronte a tale tragedia aumentata anche dal peso della giovane età della vittima, siamo tutti rimasti sconvolti, in maniera profonda. Fin qui, come impatto, è cosa normale. La cosa che invece mi ha fatto riflettere è contenuta nelle parole della famiglia di Marco e dico questo capendo il loro profondo dolore per la perdita di un figlio.

Il padre ha detto che è stata una fatalità (e su questo nessuno discute) e che loro -padre e madre- hanno permesso totalmente di seguire ”IL SOGNO DEL LORO FIGLIO -poichè di tale ”SOGNO” Marco aveva, come tanti altri giovani, il diritto totale di porlo in essere e conseguentemente la famiglia ha fornito a Marco tutto il proprio appoggio morale, tutto il proprio supporto.

Proviamo un attimo a scansare il fatto terribile della morte dalla nostra discussione e lasciarlo un momento da parte non per erigersi a dare giudizi o a voler indicare agli altri quali dovrebbero essere le giuste vie da seguire, perchè ciò dipende dall’educazione, dal modo di pensare, dalla sensibilità, dagli affetti, dalle aspettative ed in sostanza dalla visione del mondo che uno ha dentro se stesso. 

La conseguenza diretta di questo modo di pensare relativo alle esternazioni della famiglia, non è fabbricato dal nostro cervello bensì dai media e ci porta inevitabilmente a constatare con quale forza certi metodi di pensiero si siano insinuati subdolamente nelle nostre menti fino a farci vivere condizioni e situazioni totalmente deviate dalla realtà (IL VOLER VIVERE SOGNI) portandoci ad accettare che i nostri familiari, figli, amici siano sottoposti a tale bombardamento dal quale non si ricava nulla, se non soldi, notorietà ed infine una profonda illusione su quella che debba essere la vita che di per sé non è negatrice del DIRITTO A SOGNARE.

Spesso le conseguenze materiali possono produrre disperazione e morte. Che ci sia un’età per ogni cosa vale per tutti ma che la nostra ”alienazione”- sì alienazione- ci faccia arrivare al punto di concepire che ad un nostro congiunto gli venga dato spazio per la realizzazione di un SOGNO che lo possa condurre alla morte, accettando che la fatalità si verifichi (soprattutto a quell’età) anche quando si lotta sul filo dei 250 orari in sella ad una moto, questo non riesco a concepirlo.

Accettare questo come fatalità invece di aver cercato di preservare ed indirizzare il proprio congiunto su sogni ed espressione di maggior sicurezza, affetti, amore, altruismo, che senza meno vi sono stati nella vita e nell’educazione che ha avuto Marco, ma forse -permettetemelo- non al punto di indurlo a fargli concepire che quello che lui considerava un suo diritto al sogno era invece un viatico per situazioni che facilmente lo avrebbero condotto a quella fine. Perchè quelle possibilità, purtroppo, esistevano e come!

Mio padre, non me lo avrebbe permesso neanche a quell’età, eppure ero maggiorenne ed indipendente economicamente dalla famiglia, anche se devo dire che quando partivo per viaggi lontani, in altri continenti (era un mio Sogno anche quello!) a casa mia era sempre una tragedia. Ma era di ben altro spessore il Sogno (che non era esente da rischi senz’altro) e diverse erano le possibilità di incontrare la morte.

Lo sò, non si può giudicare quanto corra nei rapporti fra padre e figlio. Però nel caso di questa tragedia le parole della famiglia affranta dal dolore mi sembra che possano far parte di un insieme di cause-effetto che succedono dovunque, specialmente oggi più di ieri, sotto le luci e le droghe dei media, sempre pronte (per profitto) ad innalzare simulacri alla temerarietà umana, espandendo e ingigantendo le notizie, facendo vedere a milioni di persone che le cose principali della vita sono il successo, la competizione, l’arrivare, ed il dimostrare a se stessi che uno ce la può fare.

Qualche volta può succedere di morire e tutto il peso di questo sacrificio estremo secondo me non giustifica le aspettative di un SOGNO e chi dice di non potervi rinunciare -anche a costo di morire perchè sà che rischia la morte- non mette in evidenza una maturità compiuta. Il rispetto del dolore degli altri occorre, ma altrettanto rispetto occorre da parte dei media di un’etica che se fatta apparire nel modo in cui invece appare è solo deviante di un corretto modo di pensare della gente e produce danni incommensurabili.

E nel caso di Marco è un danno estremo, irreparabile, ma vi sono anche altre tipologie di danni che si affermano nella mente delle persone per le quali non si muore ma si corre il rischio che producano infelicità, incomprensioni col mondo e con i nostri simili. Noi viviamo oggi -purtroppo- in un mondo fatto così ed il nostro errore è, spesso, quello che verso questo mondo non solleviamo le nostre critiche ma lo accettiamo come normalità. Ecco perchè secondo me occorre non smettere mai di lottare per modificarlo.

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10 risposte a I sogni possono anche uccidere

  1. Io continuo a vederla diversamente. Ovvero: è chiaro che non si debba mettere sullo stesso piano l’essere pilota di moto e l’essere – che so – vigile del fuoco, quand’anche in entrambi i casi c’è il rischio dell’irreparabile. E’ chiaro anche che siamo troppo soggetti all’influenza dei media, che “pubblicizzano” troppo certe cose piuttosto che altre, più nobili ed importanti.
    Detto questo però, non credo che ci sia nulla da recriminare ai genitori, perché sempre ci sono stati sport e altre passioni pericolose e non credo che siano mai state considerate/considerabili il ricettacolo di giovani educati male, anche se magari possono apparire “meno nobili” di altre attività.
    L’unica cosa sulla quale sono d’accordo è che un genitore non deve farsi influenzare dai media e spingere il proprio figlio ad emergere PER FORZA, in una qualsivoglia disciplina. Questo sì. Solo che stavolta non stiamo parlando di uno che si è ammazzato perché stava cercando di fare qualcosa di troppo grande per lui. Stiamo parlando di un protagonista, come poteva esserlo chiunque di analogo, 50 anni fa, quando ancora la tv la vedevano in pochi e quindi non influenzava nessuno.
    Poi non so, magari quando avrò figli cambierò idea 🙂

  2. Oi oi che moralizzatori! Io non seguo per niente il motomondiale, ma credo che se quei tizi sono disposti a rischiare di morire ad ogni curva, un motivo ci sarà! In fondo rischiamo ogni giorno la morte, per motivi ancora più stupidi, ma non significa che sia sbagliato viverle certe cose. A volte si muore senza motivo. Sono tanti i lavori dove si rischia la pelle, bisogna vedere se il gioco vale la candela: evidentemente per Marco si.

  3. carlo sacco scrive:

    Francesco, intendiamoci, ti capisco quando quella passione ti fa tremare le vene ai polsi….e ti capisco ancora di più quando per qualche passione si possa pur rischiare la morte, ma quel genere di passioni sono altre e di ben altra natura e genere.Chi sacrifica la propria vita per gli altri, per un ideale, per una fede od valore di natura etica e sociale ha tutto il mio incondizionato rispetto, ma la mia critica e la mia perplessità andava a quelle famiglie che in nome NON di un ideale ma di un bisogno personale di un figlio che sfocia in passione,affrontano il problema sapendo che possa succedere l’irreparabile. E l’irreparabile talvolta succede, come si è visto….ed allora sarebbe meglio ripensare al fatto che non spingere a coltivare quei sogni- PERCHE’ DI QUEL GENERE DI SOGNI NON SI VIVE ( ok ?)- non si è repressori, ma genitori.Senza voler insegnare nulla a nessuno poichè tutti hanno diritto ad agire come credono nei confronti dei figli ed a dar loro l’educazione che meglio ritengono.

  4. e poi ….. diciamo la verità, anche se da genitore questo mi fa tremare le vene ai polsi…. Credo che sia giusto insegnare che c’è qualche “passione” per la quale si deve essere disposti anche a morire. Lo ho sempre pensato e per coerenza, come mio padre lo ha insegnato a me, devo insegnarlo ai miei figli. Il problema è che oggi di eroi che fungono da simbolo ce ne sono più pochi. (ovviamente cadere da una moto non lo considero un gesto eroico, non fraitendiamo)

  5. Samuele scrive:

    Forse non mi sono spiegato. Lungi da me il voler accostare la “nobiltà” della passione di un pilota di moto a quella di un medico senza frontiere. Ho fatto questo paragone per dire altro e proprio per questo ho scelto una differenza forte. Volevo infatti sostenere quanto sia sbagliato – per lo meno, secondo me – il concetto che SEMBRAVA voler emergere da alcune righe del post iniziale: ovvero che i genitori avrebbero dovuto “indirizzare” le passioni del proprio figlio, per non farle andare verso qualcosa di pericoloso. D’altra parte mica tutti possono avere passioni così nobili come la medicina in luoghi pericolosi (anche perché ci vuole pure di esservi portati e capaci) e non trovo giusto fare una classifica tra passioni “nobili” e meno nobili per stabilire se vale la pena lasciarle praticare oppure se vanno ostacolate. Inoltre, penso sia meglio una passione – anche pericolosa, ma pur sempre sportiva – che non un ciondolare da un bar all’altro preoccupandosi solo se si vede bene la mutanda griffata da sotto i pantaloni a vita bassa. Per lo meno in una delle due c’è un impegno, una dedizione, un volersi anche sacrificare quando serve (i campioni famosi e con i soldi sono una piccola punta di iceberg e cmq sia non è che rimangono al vertice facendo la bella vita)

  6. carlo sacco scrive:

    continua :famiglie e diventa quasi una ”doverosa normalità”.Questo stà a significare che siamo tutti in un meccanismo che ci fagocita dove non c’è più distinzione del pensiero altrui e dove si va verso il pensiero unico tanto per parlare con l’accetta, ma poi poi mica tanto tanto ”con l’accetta”. Allora siccome della propria vita ognuno è responsabile in prima persona verso se stesso, occorrerebbe capire che non c’è solo questo diritto-dovere verso se stessi(la vita è la nostra quindi sono nostri lecitamente anche i sogni e le passioni)ma la nostra vita appartiene anche nello stesso momento all’umanità intera e non ritengo giusto che si metta in repentaglio per una passione che ti porta a rischiarla a 250 km. all’ora in sella ad una moto.Altro è-rispondendo a Culicchi- il medico senza frontiere- che rischia la propria vita curando altri simili in zone esposte a tutto.E’ un valore che non è paragonabile e l’accostamento al ”sogno” sportivo mi appare molto inconsistente.La tendenza al pensiero unico(nel senso di pensiero influenzato subdolamente dai media) si nota dalla tendenza anche da certi paragoni.

  7. carlo sacco scrive:

    Sarebbe un bel dibattito questo, dove certamente le verità non stanno mai da una parte sola, nè io sono quello,- anche se mi sono sentito di scrivere ciò che ho scritto-che desidererei aprioristicamente reprimere i sogni dei figli.Senza presunzione alcuna vorrei però far notare una cosa quando parlo dell’azione dei media-che sia nella natura delle risposte Samuele sia di Luca secondo me è già insita l’azione dei media, in misura moderata, in misura più equilibrata, ma la risposta che ne viene fuori scambia un valore non necessario e lo avvicina alla soglia di quelli che divengono necessari poichè se uno li conculca può essere scambiato come un o proibizionista o repressore.Io sono stato un grande appassionato di F1 e sport prototipi(ho migliaia di foto dagli anni ’60 in poi) ed arrivavo a liti tremende in famiglia e pervicacemente mi mettevo all’autostrada a cercare l’autostop per Monza, Vallelunga ed anche per l’estero.Le facevo bigie per assistere alle corse dai box e dai bordi delle piste, mi misero anche sul giornale in occasione di un gran premio F1 a Monza quando in parabolica per riprendere le cooper di Jochen Rindt mi sdraiavo ai lati della pista a 30 cm dall’asfalto,(una volta mi portarono via i carabinieri) per le riprese dal basso tanto per dirne una, ma facevo anche di peggio…Oggi questa spinta è divenuta”normalità”, e come normalità è affrontata ed accettata dalle…

  8. luca scaramelli scrive:

    condivido il passaggio sui media che “drogano” ormai da tempo tutte le situazioni della vita e della morte. Sono un grande appassionato del motomondiale, ho fatto anche viaggi all’estero per andare a vedere le corse, quindi la morte di marco simoncelli (che amavo tantissimo come pilota, dotato di una generosità di altri tempi, e come ragazzo sempre gentile sorridente e con la battuta pronta anche nei momenti più difficili) mi ha talmente rattristato che quasi per esorcizzarla mi sono attaccato a tutte le dirette televisive da domenica al giovedi dei funerali. ho avuto così modo di vedere a quali distorsioni e alterazioni sia arrivato il mondo dei media in tali circostanze.
    sull’aspetto dei sogni, invece, non condivido l’analisi di carlo, non perchè un genitore non debba essere attento o non debba trasmettere certi principi che possono tracciare un possibile percorso per i propri figli, ma una passione, che dalle parti dove viveva marco è quasi una religione, non può essere ignorata e se poi per lui era divenuta una professione è del tutto normale, se poi la sorte un giorno ti chiede il conto è naturale e succede ogni giorno anche a chi fa altro.

  9. Io invece non sono molto d’accordo. Condivido in pieno il discorso del bombardamento dei media, del farci vedere che quello che conta è avere soldi e successo, e soprattutto che nel momento stesso in cui non li hai più (per un errore, un insuccesso…) sei emarginato e “fatto fuori” senza appello. Ma queste secondo me sono cause di altri problemi e tragedie. Dal personaggio famoso che si rifugia nella droga, ad un altro Marco, sempre romagnolo, che andava su due ruote anche lui (non a motore) e che per colpa dei media non ha saputo resistere agli insuccessi né rimediare agli errori che in molti sui colleghi fanno, fino a morire.
    In questo caso invece, non condivido il passo dove si dice, nemmeno troppo velatamente, che i genitori avrebbero dovuto indirizzarlo verso passioni meno rischiose, perché così facendo un po’ se la sono cercata. Ora, io credo appunto che il termine “sogno” sia inappropriato, sebbene lo abbia usato il padre stesso, ma che si debba parlare di passioni. Non è mai giusto reprimere le passioni di un figlio e non credo proprio che Marco avesse iniziato con le minimoto perché spinto dall’idea di far soldi. Inoltre, ci sarebbero un sacco di altri genitori che sbagliano, ma che nessuno si sognerebbe mai di dirlo, perché magari assecondano passioni più nobili (il giovane medico senza frontiere in Afghanistan corre forse meno rischi?)

  10. Capisco e condivido l’articolo, ed è per questo che non smetterò mai di “lottare” per modificarlo. Ho cominciato con un articolo scritto alcuni mesi fa “Scacciare le illusioni”.
    Che poi non mi riesca spiegarmi, cosi’ come vorrei, è un altro discorso!

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