Terzo contributo per il programma (cultura, turismo, commercio). Prima parte

di Agnese Mangiabene, Francesco Orsini, Enzo Sorbera

Quando se ne parla, alla cultura vediamo abbinato il turismo e il commercio. Si tratta di un “trittico” che ha finito per svuotare di senso ciascuno dei tre componenti. Invece, andrebbero pensati separatamente e non come quel concetto generalista che negli anni ha prodotto delle storture importanti. La cultura viene vista come una sorta di “richiamo” per attrarre turisti che consumeranno questa tradizione nei negozi presenti nella città e che la offrono sotto forma di prodotti della tradizione italiana (torri di Pisa per prevedere il tempo, bandiere del palio, miriadi di calamite “da frigorifero”, ecc.). Come “richiamo”, la cultura viene sempre vista a costo zero e nessuno pensa di fare investimenti (tutela, prima di tutto).

Il concetto dell’ “italian way of life” è stato talmente abusato da diventare “patinato” e falso. Se guardiamo intorno a noi, troviamo situazioni come Montepulciano, Pienza e altri in cui i cittadini si trovano a vivere in una vetrina chiusa che si alterna tra gli addobbi di Natale e quelli di Pasqua e che vede la straripante vita diurna alternarsi con un deserto serale da film horror.

I prodotti offerti come “del territorio” sono quanto di più generico si possa immaginare, tutti venduti alla stessa maniera e tutti tranquillamente reperibili nel negozio accanto come pure nel paese accanto. Fare un giro nelle nostre zone è diventato il seguire una staccionata fatta di cojoni di mulo, salumi, formaggi di Pienza, tartufi delle crete, vino, olio. Tutta roba ormai “invisibile” al turista ma che ha alterato in maniera sostanziale la qualità della vita dei residenti, che si trovano a fare i conti con il lievitare dei prezzi al dettaglio, l’introvabilità delle case in affitto – praticamente “requisite” dalle varie catene Airbnb di turno -, e un turismo che porta ricchezza solo a un piccolo gruppo di operatori, lasciando a carico della collettività le spese conseguenti.

Quest’idea di turismo fa dei territori semplici luoghi di consumo: lo dimostra l’introduzione della tassa di soggiorno. Si tratta di un minimo ristoro, una foglia di fico che copre la mancanza di una seria politica di crescita del territorio e di rispetto e valorizzazione delle sue diversità. L’economia di un territorio non è una cosa “data”, definita una volta per tutte, ma dipende da precise scelte politiche, dalla capacità non solo di interpretare un territorio ma di indirizzarne e favorirne la crescita. Con il turismo la crescita sembra affidata e delegata ad una domanda interna ed internazionale aleatoria.

Il turismo è una strategia di crescita “pigra”, come l’ha definita Samuel Stein. Come tale, è una strategia di estrazione di valore da risorse esistenti – non è un modello produttivo ma predatorio – ; inoltre, questo valore non viene redistribuito, escludendo territori e fette di popolazione che non partecipano all’economia turistica (le zone svantaggiate e periferiche, le frazioni). Infine, perché il turismo ha dei costi. E senza una redistribuzione dei rendimenti, solo i costi sono socializzati. Attraverso il turismo la politica mira ad attrarre un ceto ricco globale anziché migliorare la condizione delle popolazioni “locali”. Mentre sono proprio le popolazioni che vivono questi borghi, che raccolgono grani antichi, che vangano queste vigne a segnare i tramonti modellando il paesaggio così come sono gli abitanti dei centri storici che si prendono cura dei vicoli, abbelliscono con i colori di un geranio muri fatti di pietra che da soli non basterebbero a generare quell’idea di accoglienza che tutti associano alla Toscana.

(SEGUE)

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12 risposte a Terzo contributo per il programma (cultura, turismo, commercio). Prima parte

  1. Paolo Miccichè scrive:

    Purtroppo oggi siamo costretti a trovare sintesi forzate, con il rischio di non approfondire mai e di mischiare piani diversi, in questo caso i moltissimi implicati nel concetto di Cultura. Comunque….Secondo me la Cultura non può essere Cultura di Stato o solo Pubblica, nel senso che se lo Stato accredita soggetti che poi finanzia, il rischio è che la spinta “anarchica” della cultura si sieda e che ci si inondi di dirigenti e assessori “direttori artistici” che promuovono quello che “a loro piace” (come è avvenuto e avviene anche oggi). Il discorso, sarebbe lungo , ma finiamolo con questa frase spot. Diciamo che va almeno diviso il mantenimento del Patrimonio culturale – enorme nel nostro Paese – dal percorso degli elementi che costituiscono la Cultura di un popolo e che sono un organismo vivente che deve evolversi spontaneamente e non va anestetizzato con “soldi sicuri”. Il mantenimento del Patrimonio italiano non può farlo e non potrà mai farlo solo lo Stato. Veniamo però a Chiusi. Per esempio, tutto il mondo-etrusco è stato da sempre valutato poco; le tombe sono spesso chiuse e chi arriva in città sa poco o niente di come può fruire di questi tesori e della loro storia. Qui Turismo culturale e Cultura possono e devono incontrarsi e creare situazioni validi per entrambi, con iniziative che attirino turisti e producano risorse per rilanciare tutto il comparto…che frustrazione…ho dovuto sintetizzare goffamente uno degli esempi possibili ma il tempo è terminato…

  2. enzo sorbera scrive:

    Come sempre, Micciché è un’autorevole miniera di suggerimenti. Concordo che non si possa distinguere cultura e turismo culturale: l’una attira l’altro e si alimentano a vicenda. Il nostro, però, è un ragionamento più generale sul turismo e le politiche del turismo. Ma restiamo sul “culturale”. E’ evidente che lo Stato ha un problema di gestione del patrimonio culturale, che ha “provato” a far gestire a terzi (esenzioni ici alla Chiesa, ad es.), senza che nessuno abbia mai controllato se l’8 per mille o le altre agevolazioni non venissero intascate dai prelati (scandali di conti miliardari e palazzi di proprietà di cardinali sono all’ordine del giorno). Forse, i soldi ci sarebbero anche senza intaccare l’8 per mille: secondo l’indagine Trademark del 2007 la chiesa cattolica, sulla sola Roma, controlla ogni anno un traffico di quaranta milioni di presenze, diciannove milioni di pernottamenti, 250 mila posti letto in quasi 4000 strutture. Il volume d’affari supera i 5 miliardi di euro l’anno, il triplo del fatturato dell’Alpitour, primo tour operator italiano. E non paga un euro di tasse. Magari una parte di questi lucrosi traffici potrebbe essere reimpiegata in manutenzioni di chiese e monumenti, almeno quelli di loro pertinenza. Altra nota dolente sono i costi delle strutture: si pretenderebbe che un teatro di mantenesse in piedi con gli spettacoli. Ma se ho 300 posti, quanto devo far pagare un biglietto x rientrare dei costi? Ora, poi..

  3. carlo sacco scrive:

    Certo che questa non è la sede per un ragionamento così complesso ma sarei curioso di sapere il perchè si bolli come”vecchie categorie del secolo scorso”una realtà odierna sulla quale concordo che lo Stato non sia in grado di accudire ad ogni propria prerogativa in tale direzione poichè questo presupporrebbe risorse immani,ma credo proprio come tu dici che occorra capire che tutto questo sia purtroppo un processo lento che debba scorrere parallelamente al cambiamento dello stato che non è una entità scolpita sulla roccia.Detto questo ti sarei grato che tu rispondessi alla domanda sulle ragioni per le quali un privato possa sponsorizzare la cultura senza immaginarne i ”ritorni” poi possiamo discutere sulla leceità di questi e possono esistere accordi di carattere diciamo ”strategico”fra Stato e Privati ma la maggior parte delle attività in questo senso in tutto il mondo vedono dei ritorni e finalità che servono ad uno scopo.Non mi capacito il motivo per il quale occorra dire che tale modo di pensare sia obsoleto,vecchio e che non produca ciò che ci si possa attendere,quando assistiamo a multinazionali che si prendono carico di iniziative culturali come fanno le aziende monopolistiche sul mercato globale.Anche Amazon e Apple sostengono la cultura ma tale attività è finalizzata ad accrescere il loro conto economico e ad affossare le capacità degli stati di intervenire finanziariamente anche sulla stessa cultura.Ed è vecchiume ?

  4. Paolo Miccichè scrive:

    Mi spiace sentire ancora ragionamenti con vecchie categorie del secolo scorso, uno dei motivi per cui la Sinistra italiana è rimasta purtroppo marginale, al di là delle etichette che questo o quello appiccano a prodotti contraffatti, come il renzismo.
    Non c’è lo spazio qui per discuterne per bene, ma un dato rimane inconfutabile: lo Stato, in Italia, non è in grado di sostenere il patrimonio che noi possediamo. Dire che lo deve fare non risolve il problema, in quanto non è strutturalmente in grado di farlo, essendo un patrimonio immenso. Esiste però la strada dell’imprenditoria pubblica (vedi Mariana Mazzucato, per capirsi) e quella mista (come quella che io sto attivando proprio in questi giorni unendo soggetti pubblici e privati).
    Il privato pensa solo a fare profitto? Così come il pubblico a male amministrare e a mantenere solo clientele? In questo senso basta vedere le montagne di soldi buttati via da Istituzioni pubbliche nei decenni passati. Messe così sono semplificazioni che portano poco lontano. L’Opera italiana, per esempio, è fiorita nei secoli scorsi grazie agli Impresari privati, così come è più facile sentire opere del Seicento italiano da gruppi privati esteri che nei teatri pubblici italiani.
    Ripeto, il discorso è complesso ma, per favore, ci si rimetta in cammino!

  5. carlo sacco scrive:

    X Miccichè.E’ vero che sia un discorso complesso ma se si scantona dai binari corriamo il rischio di imboccarne inevitabilmente altri che ci corrono a fianco.Ed i binari purtroppo sono sempre quelli delle finalità alle quali è preposto lo Stato e quelli dell’attività privata che comunque finalizza il turismo per”fare cassa” perchè della cultura in senso lato interessa molto relativamente ma solo se ne possa trarre vantaggio e profitto.(Vedi le città d’arte come Venezia,Firenze, Roma ecc) Questo non significa affatto che le attività economiche dei privati debbano essere escluse,anzi,ma credo che debbano necessariamente offrire servizi al turismo culturale.La fotografia della situazione reale purtroppo smentisce ciò che io stesso dico quando affermi che”lo Stato non possa sobbarcarsi risorse insostenibili”e credo che questa sia la pecca centrale della condizione che vivono le strutture culturali in Italia.Gli spazi lasciati vuoti da uno Stato ridotto alla frutta non consentono a questo di assumerne più nè il controllo nè la destinazione futura per cui è la condizione del mercato che organizza la fruizione ed il mantenimento solo se ce ne vede una possibilità di profitto altrimenti le strutture possono languire ancora per decenni e decenni da come sono state lasciate all’opera distruttiva del tempo.E’ un discorso complesso di certo ma non si dovrebbe andare avanti per slogan.La riforma dello Stato in questo settore è irrinunciabile.

  6. Paolo Miccichè scrive:

    In Italia Cultura e Turismo culturale sono in buona parte sovrapponibili; diversamente da Cultura e Turismo che sono invece decisamente diversi. Creare situazioni culturali affinché siano oggetto del valore aggiunto di una messa a reddito è una necessità per un Paese come l’Italia. Chi altrimenti mantiene, preserva, conserva l’enorme patrimonio culturale che possediamo? Non certo lo Stato perché si parla di risorse immense e insostenibili. Inoltre, chi può dare lavoro ai tanti operatori del settore? Un Museo vende biglietti anche al “turista culturale” (e in fondo quante volte lo siamo anche noi); un concerto o uno spettacolo d’opera non si fanno proprio perché il pubblico accorra? E se accorre da fuori, in quale momento ci si trasforma in turista culturale? Arrivando su un bus organizzato lo si è, mentre se si arriva da soli in macchina si rimane puri? Insomma il turismo culturale non è una brutta parola, non è sinonimo di cattiva qualità (può esserlo ma non lo è di default); significa “valutare” quello che si ha e presentarlo in modo che più persone acquistino un biglietto e diano risorse per il mantenimento di questo comparto, oltre a generare un importante indotto relativo (alberghi, ristoranti, trasporti, commercio, bookshop e così via). Ma significa anche dare contributi e stimoli all’elaborazione culturale, attraverso la ricerca di altre rifrazioni, di stimoli a un’ulteriore ricerca. Certamente un discorso complesso…

  7. carlo sacco scrive:

    Propondo agli intervenenti una riflessione che è lapalissiana e che sanno ormai da tempo immemorabile:stiamo discutendo attorno alle cose e non consideriamo di fronte a ciò che Sorbera ha detto,che la guida a pensare oggi ci viene sciorinata solo dai media.Sono i media che permettono la nostra attenzione ed i relative comportamenti che ne derivano da questa. I vicoli della Firenze al di là ed al di qua dell’Arno rivestono ugualmente materia da SENTIRE FACENTE PARTE DI TUTTO UN INSIEME.Perchè è da quell’insieme che parte l’osservazione e la riflessione che contiene tutto il contesto.Tutto questo è lapalissiano ma per far questo occorre conoscere la storia che è passasta in quei vicoli e che ha prodotto l’insieme ed oggi il turismo mordi e fuggi di questo se ne frega.L’investimento sul livello culturale dei fruitori delle opere d’arte e delle strutture si deve necessariamente fondare nella conoscenza della storia e per far questo è il livello dell’offerta culturale che deve fare la sua parte.Senza di questo,succede quello che può esser notato in Via de’ Neri dove ci sono quasi permanentemente file di centinaia di persone che attendono due o tre ore per un panino perchè hanno letto nella guida che sono i panini più buoni del mondo.
    In quella fila della storia se ne fottono,sia loro sia chi glieli vende,ma tutto continua come sempre e si sentono i discorsi dei ministri che riguardano milioni di euro investiti sulla cultura.La via è lunga…

  8. enzo sorbera scrive:

    Due note. Una di scusa: il mio post precedente è ancora tutto interno alla logica che stiamo cercando di superare, finendo per apparire addirittura normativo. Una contraddizione di cui mi scuso e che dimostra quanto sia difficile uscire da una certa logica. L’altra di precisazione: noi non abbiamo in mente un modello “venite qui perché come qui non si sta da nessun’altra parte”. Certo, l’articolo si presta anche a questa lettura, ma vorrebbe suggerire la necessità di un ripensamento, quasi un “ribaltamento” della logica che ha animato finora l’offerta turistica. A chi verrebbe in mente di seppellirsi in un posto senza infrastrutture o con servizi scadenti? Solo perché c’è un Pontormo in chiesa o una tomba paleolitica nelle vicinanze? Via, siamo seri. Il primo problema è l’offerta attrattiva per i nostri cittadini: combattere lo spopolamento e la marginalizzazione è il problema principale. Da qui, si chiede alla politica di “pensare in grande”: interventi ambientali coordinati (lago, mobilità sostenibile ma rapida in verticale e orizzontale -nord-sud, ma anche ovest-est), controlli sulla qualità della filiera produttiva (quanto formaggio “di Pienza” è fatto con latte di Pienza? Quanto vino proviene dal terroir che dichiara?), tutela della qualità di quella filiera, ecc. L’opportunità di insediamenti ad alta tecnologia è un’altra modalità di attrattiva del territorio (per i cittadini): penso, ad es, alla produzione di vaccini intorno al modello teorico di Rappuoli

  9. enzo sorbera scrive:

    La proposta però è di tenere distinti gli ambiti di cultura, commercio e turismo. Ieri, con amici, siamo andati a Vitaleta. Quando siamo arrivati stavano montando una statua di un angelo o, almeno, l’abbiamo vista così. Non abbiamo chiesto all’ideatrice che stava assistendo al montaggio, né agli artigiani che stavano montando l’opera se fosse un angelo. Non ha importanza: quello che conta è la contaminazione tra un’opera (la cappella) della prima metà del 800 e che è stata progettata così, come un “fatto” del trecento senese, e l’opera contemporanea di metallo grigio e ottone. Quest’accostamento postmodern sfuggirà ai più, che continueranno ad andare a Vitaleta per vedere un “falso” (la cappella). Lì, non c’è (ancora) un business: è ancora una meta turismo per turismo (come il giro a Corsignano). Il concerto, la scultura, l’evento che si svolgono intorno a Vitaleta richiamano una fruizione estetica e si tratta di un turismo che viene attirato da quella specificità. Ecco, riusciamo a ragionare su un turismo che vada oltre i consumatori? Mi chiedo (oggi ero a Firenze): che senso ha fare due ore di fila, pagare 38 euro un biglietto per guardare un’opera che sulla pagina web degli Uffizi posso scrutare per tutto il tempo che voglio? Ok, è un’operazione culturale, cioè di consumo culturale. I vari palazzi che si incontrano lungo i vicoli di oltrarno non vengono degnati di uno sguardo. Però tutti conoscono “il trippaio”. Noi non vogliamo “disciplinare” ma…

  10. Rossella Rosati scrive:

    Dipende dai punti di vista e di osservazione. Richiamandomi alla definizione della parola “cultura” precedentemente indicata, mi limito ad esprimere 2 o 3 concetti in termini essenziali. 1) Che ci siano alcuni esercizi che vendono calamite ci sta, da un lato c’è chi le compra, dall’altro c’è la capacità imprenditoriale di chi le vende che può essere notevole, se riesce a produrre utile sufficiente o nulla se non riesce ad individuare altre forme di attività, e qui subentra la formazione culturale. Però a Pienza e Montepulciano non sono tanti questi calamitari quanto piuttosto sono moltissimi gli imprenditori del vino e del formaggio: questa è senz’altro cultura cui si aggiunge poi il commercio e la caratterizzazione di un luogo. Se poi consideriamo che al Museo Archeologico di Chiusi sono esposti una grattugia estrusca (“manuale”) oltre a Kyathos e Kantharos e che Ti narrano anche come il vino venisse arricchito al proprio interno di formaggi, forse si riesce a prendere spunto del perchè di certe attività in determinati luoghi.

    2) A Pienza hai l’occasione di ascoltare, in scenari bellissimi, persone come Cafiero De Raho, Procuratore Nazionale Antimafia, in merito alle attività svolte dalle Procure,oppure Stefano Massini, con il suo Manuale di Sopravvivenza o Massimo Giulio Tancredi , storico, etc , gratuitamente. Non credo che ciò interessi ai turisti stranieri e quando ti siedi puoi essere di Pienza, di Chiusi o di Cetona , l’importante è che Tu ascolti

    (3) I prezzi delle case salgono se un territorio è ambito e tanto sarà più ambito quanto più sarà piacevole viverci e quanto più sarà curato e dotato di servizi ed attività essenziali .Hanno dimostrato che lo smart working non funziona se poi non esiste intorno un contesto di offerte che agevolano la quotidianità e/o consentono un arricchimento culturale . Le persone poste in “smart working” dopo un periodo “bucolico” preferiscono ritornare in città. Non so se possa esser preferibile un aumento dei prezzi delle abitazioni ad una successione di cartelli con scritto vendesi , in vetrine o portoni mangiati dalla polvere accumulatasi. I bassi valori immobiliari sono la dimostrazione di un’eccedenza dell’offerta rispetto alla domanda , ma , a sua volta , l’eccedenza dell’offerta immobiliare può esser sintomo della mancanza di lavoro in quel luogo.

  11. carlo scrive:

    Un commento a questa prima puntata del Post. Sono d’accordo pienamente su ciò che significhi ”cultura”e fruizione di questa,ma per metterla in atto credo che occorra dissociarsi da tutto quello che è intervenuto fin’ora e cioè soprattutto dalla visione consumistica fine a se stessa per le quali le ricadute sono quelle che stiamo vedendo ed i premianti solo chi possa ospitare nelle proprietà un turismo abbastanza ricco e fruitore dei prodotti scelti e di nicchia della ns. zona, non senz’altro quelli calamitati sui coperchi di frigoriferi dei quali abbondano tutte le botteghe.Per far questo occorre proporre modelli, modelli nuovi che si basano sull’innalzamento del livello culturale di quanto si vada a produrre e che abbia come riferimento la storia allargata del territorio e non la genericità di consumo globale non di qualità.Questo lo si raggiunge collegandosi alla fruizione della conoscenza della storia e della vocazione dei territori nella loro variegata genesi storica ed economica.E’ questa la conoscenza che serve da partenza ad un processo di sviluppo per farlo irreversibile,diversamente rimarranno solo occasioni veicolatrici di evidenti segni che alla popolazione lasciano nulla.Economia e storia sono strettamente legate ed indissociabili l’una dall’altra ed è solo nell’uso di questa conoscenza che può essere fondato un motivo sicuro,senz’altro lento ma alieno dalla fruizione del mordi e fuggi globale che nulla lascia alle persone.

  12. pscattoni scrive:

    Si, la cultura non si misura con le presenze turistiche. Su chiusiblig se n’è parlato spesso, senza grandi risultati. Fra i tanti interventi rimando a questo dell’ottobre 2016 http://www.chiusiblog.it/?p=32140
    Per discuterne potremmo partire dalla definizione del vocabolario Treccani:”Complesso di conoscenze, competenze o credenze (o anche soltanto particolari elementi e settori di esso), proprie di un’età, di una classe o categoria sociale, di un ambiente (…).

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