Cosa ho imparato da un amico rifugiato politico

george 2019-09-15 09-45-39di Paolo Scattoni

Due giorni fa un amico nigeriano (lui preferirebbe biafrano) ha ritirato il decreto con il quale gli si riconosce l’asilo politico e un permesso di soggiorno di cinque anni. L’ho seguito su proposta dell’allora Tavola di René, che due anni fa, appena arrivato, lo ospitava. È stato un impegno dal quale ho imparato molto.

Dalla conoscenza della vicenda di George Onoruah in Italia credo di aver capito cosa si sbaglia nell’accoglienza.

Si dovrebbe dare priorità all’apprendimento dell’italiano. Quello che era previsto allora era un insegnamento dell’italiano di due o tre ore settimanali, seguite dagli ospiti del Centro che continuano a parlare fra di loro in altre lingue come il francese o l’inglese. Ci vorrebbe invece una sorta di insegnamento personalizzato di impatto di almeno due  o tre mesi, diverse ore al giorno. Poi la scuola con i corsi di italiano organizzati. Qui da noi si tengono a Chianciano.  L’insegnamento personalizzato iniziale può essere costoso, ma ne vale la pena.

Una seconda priorità è ascoltare il racconto, possibilmente mettendolo per iscritto, dei motivi del loro trasferimento in Italia. È quasi sempre un racconto drammatico soprattutto per quanto riguarda la permanenza in Libia. È un passaggio difficile, ma necessario. Il mio amico George ci ha addirittura scritto un breve libro che ora sta andando in pubblicazione.

C’è poi la necessità di capire le competenze. È quasi impossibile il riconoscimento degli studi. George ha tentato di aver riconosciuta la propria laurea in Nigeria, ma in ambasciata gli è stato consigliato di tornare in Nigeria per il riconoscimento!!!

Sempre sulle competenze sarebbe bene capire quello che sanno fare. Spesso è molto più di quanto si possa immaginare. Per esempio se un richiedente asilo dice di aver fatto il saldatore sarebbe opportuno fargli fare una prova presso un artigiano locale per caipre il livello di quella competenza. Se ci sono queste competenze, magari in settori dove la manodopera scarseggia perché non mettere in comunicazione domanda e offerta? Negli SPRAR e nei CAS neppure si fa la domanda del lavoro svolto.

Poi c’è il problema dell’integrazione. Basterebbe la disponibilità di almeno una famiglia a “seguire” un singolo richiedente asilo, magari soltanto con un invito a cena una volta ogni tanto. Conosco un richiedente asilo con esito positivo che è stato seguito dalla famiglia della sua madrina di battesimo. Quel contatto è stato essenziale per non sentirsi isolato e abbandonato.

Anche se lentamente la cosiddetta pubblica opinione scopre che il fenomeno dell’immigrazione non è un’invasione, ma un processo da affrontare con un minimo di raziocinio. Poi magari si scoprirà che non è un costo, ma una risorsa.

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2 risposte a Cosa ho imparato da un amico rifugiato politico

  1. gisella zazzaretta scrive:

    Sono davvero contenta per George . Quando arrivò a Tavola di René capimmo le sue potenzialità e grazie a Paolo Scattoni, suo figlio Gabriele e tutta la sua famiglia queste sono venute fuori. Non tutti però si fanno aiutare o si fidano di noi. Abbiamo cercato di fare del nostro meglio, anche con errori, ma le difficoltà maggiori sono venute da chi ha considerato questi ragazzi solo come una opportunità di lavoro. Anche l’amministrazione comunale non se ne è interessata e nemmeno i soci fondatori della ONLUS Tavola di Renè sia dal punto di vista pastorale, evangelico o di semplice volontariato. Ad un certo momento questi ragazzi hanno visto disgregarsi i rapporti tra noi “bianchi” e certo non abbiamo dato loro un buon esempio. Se Tavola di Renè ha chiuso le porte all’accoglienza di profughi e poveri non è stato solo per mancanza di fondi, che non è poco, ma anche per mancanza di amore, solidarietà, aiuto reciproco nella nostra cittadina e nella nostra chiesa. Noi non volevamo un orticello! Grazie Paolo e tanti auguri per il tuo futuro George!!!!

  2. Luca Scaramelli scrive:

    Paolo ti ringrazio veramente di cuore per la tua attività e per racconti come questo, credo che servirebbe veramente poco per far avvertire l’integrazione come un’opportunità, sotto tanti punti di vista, e non un problema. Da 31 anni seguo e partecipo alla politica locale, in vari modi, spesso mi sembra solo di sprecare tempo ed energie, credo che un buon “investimento” sarebbe pensare a come rendere organiche e praticabili quotidianamente le tue proposte.

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