Un film di denuncia della violenza sulle donne

di Enzo Sorbera

Ho assistito alla presentazione di “Cambio marcia”, un “corto” prodotto da Coop nel quadro del più vasto progetto di sensibilizzazione sulla violenza di genere intitolato “No alla violenza sulle donne”.

Il teatro di Acquaviva era letteralmente stipato di gente. Una garbata signora ha fatto la sua sobria presentazione – una rarità, in questi tempi di profluvi verbali inflitti a piene mani a noi incolpevoli spettatori -, e il film è cominciato. Nella scenografia di una serie di negozi Coop – Chiusi, Sarteano, Chianciano, Acquaviva – , un gruppo di persone comuni – gli attori sono dipendenti e soci Coop – racconta la storia di violenza che subisce una donna da parte del marito. La storia si dipana in forma sempre più agghiacciante nella sua “normalità” quotidiana, fino ad arrivare al suo culmine e quindi sciogliersi nel finale.

Non racconto la storia perché Coop ha deciso di distribuire, a chiunque ne faccia richiesta, una copia del filmato, in maniera da garantirne la massima diffusione per poter finalmente dar luogo al dibattito e, si spera, alla presa di coscienza che un tale argomento merita. Tratto dal racconto “Effetti collaterali” di Lorella Fanotti – un racconto di un paio di anni fa, che fa parte del volume “Racconti dietro l’angolo” reperibile su Amazon -, il film è diretto da Manfredi Rutelli, che ha curato, insieme ad altre due persone, anche la riduzione del racconto e la sceneggiatura.

Certo, non si può dire che si tratti un bel film: uno schiaffo in faccia non piace mai. E però è un film che non perde un colpo, si sostiene e si dipana nella coralità di una serie di volti e voci – sono una ventina di “attori”, tutti visibilmente emozionati e però determinati al proprio contributo. Bravi, davvero – che, proprio nel raccontare quella storia, danno vita a un dramma terribile perché senza soluzione o via di fuga apparente.

Il film, a parer mio, può essere letto secondo due chiavi: quella esplicita della chiusura nel privato, nel dramma che si consuma nel quadro di un malinteso senso della famiglia (il ruolo sociale di moglie e madre irreprensibile è scandito dalla preoccupazione delle “chiacchiere”, dei “panni sporchi”, ecc.) in cui si viene a giocare anche la dialettica schiavo-padrone o, meglio, vittima-aguzzino, dialettica negativa cui la donna si sottrae all’ultimo momento, evitando la tentazione della soluzione “a portata di mano”; e c’è poi una chiave implicita, rappresentata dalla coralità della recitazione di questa (meravigliosa) gente comune.

Nel raccontare quella storia, ognuno racconta la storia, purtroppo nota, di un qualcuno che conosce, del vicino di pianerottolo, della signora che qui, accanto a me, sta pesando la frutta sulla bilancia. E ognuno porta il brivido segreto che si tratti di una storia che in qualche modo possa toccare in sorte anche a me che ne parlo. Forse quest’ultimo è un “effetto collaterale”, nel senso che emerge come un possibile risultato non voluto coscientemente ma che, non di meno, contribuisce a fare la forza di questo breve filmato.

Spero che effettivamente ci sia modo di far circolare questo film: se si riuscisse a farlo vedere a quante più persone possibile, potrebbe essere davvero un contributo a migliorare la consapevolezza che la violenza di genere non può diventare o passare per un fatto ordinario, normale. E’ un fatto doloroso che svilisce chi la subisce ma anche chi la perpetra.

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