Possiamo affrontare un cambiamento che non comprendiamo?

di Paolo Scattoni

In questi giorni sto leggendo l’ultimo libro di Jeremy Rifkin “La società a costo marginale zero”. E’ in libreria da cinque giorni. L’edizione inglese è di luglio. Vi ho trovato dati impressionanti di qualcosa che da qualche anno ci sta passando sotto gli occhi ma che sembra sfuggirci. Solo due citazioni fra le decine che potrebbero essere fatte:

“Nel 2007 i sensori per collegare all’Internet delle cose i più disparati tipi di marchingegno pensati dall’uomo erano 10milioni. nel 2013 il numero si è avvicinato ai 3 miliardi e mezzo. Ma ben più impressionante è il dato previsto per il 2030, quando si prevede che saranno collegati … 100 miliardi di sensori. E ancora: “Oggi i telefoni cellulari pesano pochi grammi e costano poche centinaia di dollari. ….. Eppure la loro memoria è migliaia di volte più potente del Cray- 1A, il supercomputer creato a fine degli anni Settanta del secolo scorso, che costava sui 9 milioni di dollari e pesava 5 tonnellate e mezzo. Il costo marginale di potenza dei computer sta progressivamente scendendo a zero“.

Eppure raramente ci soffermiamo a ragionare sui grandi mutamenti che molto spesso ci sfuggono. Ci attendono 15 anni di trasformazioni che non possiamo neppure prevedere. Una cosa è certa la crisi che oggi ci attanaglia, quando superata (sono ottimista), non ci riporterà alla situazione precedente. Sarà una società dove non si potrà pensare all’organizzazione del lavoro che ci ricordiamo.

Mi chiedo, però se non sia possibile attrezzarci un po’ per affrontare questi cambiamenti. Nelle zone già attualmente marginali come la nostra quali strumenti ci possiamo dare per rispondere adeguatamente? Non è soltanto un problema economico, ma anche politico e culturale.

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21 risposte a Possiamo affrontare un cambiamento che non comprendiamo?

  1. carlo sacco scrive:

    X paolo. t’avevo risposto ma è andata negli spam, colpa mia….

  2. enzo sorbera scrive:

    Ho trovato Rifkin e l’ho messo … da parte perché prima devo leggere Manuale dell’apocalisse – Cinquanta ipotesi sulla fine del mondo . di Alok Jha (non prendo in giro: è il corrispondente scientifico di The Guardian), edito da Boringhieri. Le prime pagine sono istruttive ma soprattutto molto divertenti. Vi terrò aggiornati.

  3. pscattoni scrive:

    Illazione

  4. carlo sacco scrive:

    X Paolo. Scommetto una cena che se avessi intessuto lodi al PD dicendo che era un contenitore dove tutti possono esprimere la loro idea e parlato della global governance, tu questi salmi che finiscono in fumo non l’avresti detto.Questi non sono salmi, sono constatazioni.

  5. pscattoni scrive:

    Tutti i salmi finiscono in gloria.

  6. carlo sacco scrive:

    Enzo ti capisco ed il problema è proprio della sinistra che si deve re-inventare,non è del capitalismo perchè alla fine quando questi vede assottigliarsi i propri spazi scatena la guerra e risolve con quella come ha sempre fatto,non curandosi delle conseguenze.Ma questa sinistra odierna,blairiana,la quale
    sicuramente è ostaggio del più forte ed usata per far passare i colpi assestati alla semprepiù disgregata sinistra è da chiamarsi sinistra? Cosa ha re-inventato di sinistra il renzismo?
    Dice lui stesso che ” una sinistra che non sa rinnovarsi è destra” poi auspica insieme ai suoi alleati di destra al governo che i lavoratori rinnovino i contratti non guidati dai sindacati ma con la trattativa ad personam secondo te e’ sinistra questa? Nell’ottica del principio antagitonista del tanto peggio tanto meglio lo potrebbe diventare,ma a me sembra proprio spiattellatamente un trasversalismo democristiano della peggior specie perchè nulla costruisce se non la forza per dare colpi ancora ad un muro che se crolla totalmente vedrà le classi subalterne ancora di piu prostrate. Reinventare la sinistra si deve,ma mica così.eppure in chi lo segue è passata l’idea che sia l’ultima speranza,senza curarsi dei risultati però.E’ la vendita del fumo.

  7. enzo sorbera scrive:

    Carlo, il problema è che non abbiamo proprio idea, non che non ce l’abbiamo esatta. Una sinistra che annaspa a fornire ricette che sono già tutte scritte, ripete i guai e i danni che sono stati fatti già tra i 1860 e il 1900 dai socialisti di Bernstein. Anche allora, riprendevano pari pari come “scoperta” quanto Brentano aveva già costruito sulla roccia. E oggi è lo stesso. Ma è un problema anche per il capitale, non solo per gli antagonisti: la decostruzione del modello manifatturiero sta uccidendo o mette in necrosi pezzi interi di capitalismo. Il problema è capire la direzione in cui vanno. Non è facile.

  8. Penso che non sia una questione di capitalismo o altro, ma della filosofia di vita basata non sulla ricchezza o il benessere, ma sul sempre più. Sempre più ricchezza, sempre più benessere. Credo che questa filosofia di vita venga seguita dalla stragrande maggioranza dei Paesi, e da ciascuno di noi, con un inevitabile, sempre più veloce, esaurimento di spazio e risorse.

  9. carlo sacco scrive:

    X Sorbera.Ma si pensa proprio che almeno negli elementi fondamentali della genesi storica dall’ultima metà dell’800 fino alla seconda guerra mondiale le cose paragonate a quelle di oggi possano essere tanto diverse come sostanza fondamentale? Il capitalismo regna e regnerà ad una sola condizione:con la guerra e comprimendo ed indirizzando i popoli l’uno contro l’altro,mettendo le mano sulle risorse globali,distruggendo e ricostruendo,o ritieni che in uno scenario di 7 miliardi di persone i comportamenti siano diversi da prima perchè pensi che vi sia il problema del controllo di 3 o 4 miliardi di affamati ?Quelli che vediamo intorno a noi oggi sono i prodromi di tale situazione.I problemi dell’ordine sociale e della fame li controllano in tal modo(pensando ad eliminare gli ostacoli che gli si frappongono dall’interno).Le teorie interpretative di questo fenomeno come possono benissimo essere quelle di Retel,fra l’altro aderente alla critica Marxista,non scalfiscono per nulla il corpo di come il capitalismo si comporta da secoli.Forse spesso abbiamo nelle nostre elocubrazioni una visione non esatta dell’etica valoriale del capitalismo e di come gli abitanti del mondo si educhino a pensare sotto tale sistema.Il problema è anche conoscitivo-educativo.

  10. enzo sorbera scrive:

    Io, invece, sono ammaliato dalla potenza del capitalismo: è un sistema che non finisce mai di stupirmi. Sono proprio curioso di vedere (a questa velocità “di crociera” sono certo di assistervi) come verrà risolto lo snodo dell’emergenza povertà e della redistribuzione dell’accesso alle risorse. Non potrà essere solo “comando” e neppure un ridisegno della sintesi sociale descritta dai marxisti (Sohn Retel in testa). Più che mai risuona urgente interrogarsi, sulla scia di Niklas Luhmann, come sia e sarà possibile l’ordine sociale.

  11. carlo sacco scrive:

    Dopo aver letto il link proposto da Sorbera mi pongo un problema che credo che non sia da poco,che poi non solo non è certamente elusivo di quello conseguente ad Harrod Domar ma la domanda a cui si arriva dopo il” recruiting” è quella che porta a chiedersi ”quanti lavoreran- no poi nel mondo?” Il progresso tecnologico applicato al sistema del profitto fin’ora non ha fatto altro che mostrare le sue potenzialità tecnologico inventive da un lato,ma dall’altro espellendo automaticamente milioni di uomini dal processo produttivo,senza che le strutture all’intorno potessero reimpiegarli.Il problema è proprio anche lì,ed alla fin fine la verità dei nostri filosofi ed economisti della scuola classica del tipo Dobb,Schumpeter,Sweezy,ma anche e soprattutto Marx,emerge e fa da spartiacque fra il possibile in ogni circostanza(Harrod-Domar appunto)da una parte ed il collassamento del mondo a sviluppo ineguale dall’altra.Non si scopre nulla,è il mondo a velocità variabile che abbiamo di fronte. Occorre essere coscenti non solo di apparte- nere ad esso ma di crearsi anche il problema di chi possa esserne escluso.Solo in quel modo ritengo che l’uomo si possa distinguere dagli animali.Ecco perchè penso che il capitalismo a differenza dei suoi molti neofiti odierni,non sia alla fine la miglior condizione possibile.

  12. enzo sorbera scrive:

    Sono (rimasto) ancora a The third industrial revolution. Appena possibile, la leggerò quest’ultima fatica (ma non gli si sta dietro, a Rifkin!). Quello che riassume Paolo è in linea con parecchie delle problematiche/preoccupazioni attuali sul “futuro che ci aspetta”: dai reclutatori virtuali di manodopera (vedi Le monde: http://lesclesdedemain.lemonde.fr/business/comment-serez-vous-recrute-en-2025-_a-56-4238.html) alla navigazione spaziale mediante uso del vento solare (è di questi giorni l’annuncio di SunJammer. Mi ha attirato perché le “vele” usano degli algoritmi di Koryo Miura). Temo che 10 anni siano troppi: certo, ci farebbe comodo così tanto tempo (per abituarci, se non per altro), ma già ora niente è come prima.

  13. pscattoni scrive:

    Può darsi che sia come ipotizzi tu. Leggendo il libro non mi è parso.

  14. carlo sacco scrive:

    La riscoperta dei beni comuni di per se non sarebbe negativa,ma nel suo procedere secondo me-ed ecco perchè ho tirato in ballo Harrod-Domar -si applicherebbe la teoria credendo di influenzarne la prassi e nel suo divenire questa di sicuro incontrerebbe ostacoli insormontabili,il primo fra i quali la base stessa di partenza di dove agisce (un mondo dove è validato il sistema del profitto) snaturando via via l’azione iniziale della scoperta dei beni comuni.Si è vista la stessa cosa con le politiche di intervento in molte parti del mondo messe in atto soprattutto dagli interventi statali che per essere realizzati hanno avuto bisogno delle banche e di tutto l’apparato economico-industriale,che agisce esclusivamente col sistema del profitto.La Rivoluzione Verde in India ne è un esempio,ma ce ne sarebbero a decine.Non ho letto il libro e quindi forse parlo a sproposito ma da quello che ho intuito penso che più che altro possa servire a rallentare la crisi del capitalismo dando ossigeno a tanti comparti economici che sono in crisi proprio per le leggi di mercato.Il cambiamento dello scenario è finalizzato sempre alla conservazione,è come una grande prerogativa di recupero del sistema,una sua difesa.E’ questo il fatto che oggi stentiamo culturalmente ad accettare.

  15. pscattoni scrive:

    Questo si sa. Nella lettura che ho fatto ho trovato idee alternative interessanti e l’ho segnalato. Tutto qui.

  16. carlo sacco scrive:

    Il problema è complesso.In ogni società evoluta se c’è chi produce occorre che ci sia chi vende.Il problema non è questo.Le teorie e le prassi che storicamente si sono succedute fin’ora per risolvere tale problema hanno fallito,soprattutto con l’implosione dall’interno durante il confronto di sistemi economici,etici e morali che dal 900 avevano opposto una non accettazione a quelli che duravano da migliaia di anni e che ancora conquistano il mondo distruggendone le risorse(vedi Cina ed India).Il capitalismo,alias mercato,ha dentro di sè la forza per rinnovarsi,per cambiare scenario,per conquistarne altri,per gestire l’economia e la mente degli uomini.Far cambiare un tale sistema indirizzando da altre parti le sue prerogative fondamentali(il profitto)non è un giuoco da ragazzi perchè il più forte(uomini, stati,corporations)difende se stesso non solo con le armi di distruzione di massa ma anche con quelle della persuasione strisciante facendo intravedere la soddisfazione dei bisogni alle masse e creandone di nuovi.Credo che comunque la pace non ci attenda,in ogni caso.Nessun sistema sociale ha cambiato la propria natura ma è sempre crollato o sotto l’onda della violenza di altri oppure con l’azione dei propri tarli interni che si era autoprocurato.

  17. pscattoni scrive:

    x Carlo Sacco. Certo che la fine del capitalismo può sfociare in una guerra. In un’epoca in cui esistono strumenti per la distruzione definitiva dell’umanità non è un’opzione. Si tratta allora di capire come gestire la transizione. Il libro che ho citato presenta una soluzione basata su un’analisi che mi convince. La soluzione passa su una riscoperta dei beni comuni. Può trovare applicazioni anche a livello locale e quindi su questo si può discutere in una dimensione non necessariamente “governativa”.

  18. carlo sacco scrive:

    X Paolo e Luciano.Per carità,degni pensieri, sintomo del fatto di crearsi il problema e ricercare le soluzioni.Ma la storia del genere umano quando è stata ad un bivio importante come quello che viene evocato non ha mai riprodotto ciò che sarebbe stato meglio ottenere,accettare,mettere in pratica.La storia ha evidenziato che la drasticità alla fine ha prevalso su tutto e su tutti ed ha prevalso con una soluzione totalizzante per tutti che si chiama Guerra.Guerra dei singoli l’uno contro l’altro,guerra di comunità,guerra di nazioni innescate anche spesso dall’economia che usa anche la religione per i suoi fini.Non mi farei tante masturbazioni anche guardando ciò che avviene intorno a noi attualmente:restrizione dei redditi,restrizioni dei modi di pensare ed incanalamenti del pensiero,restrizione della vita.Questo è il fronte conto il quale occorre combattere con decisione.Opporsi a quanto porta inevitabilmente l’essenza del capitalismo,perchè è quello che agisce su basi culturali individuali ed attua una divisione ed una parcellizzazione della società perchè poi alla fine prevalga il più forte che non può rischiare di vedere compromesso il suo status,trova alleati sulla sua strada,ma realizza lucidamente alla fine ciò che vuole.

  19. pscattoni scrive:

    Rispondo a Luciano (Fiorani). Rispetto al dilemma “meno stato e più mercato” o “più stato e meno mercato” Rifkin rispone “meno stato, meno mercato e più Commons (beni comuni)”. Rifkin afferma forse più chiaramente di altri (p.e. Yochai Benkler e in Italia Francesco Gesualdi) che la strategia è quella della creazione di comunità che gestiscono questi beni comuni che non sono più o soltanto la terra ma elementi molto più complessi come l’Internet delle Cose (IDC), una struttura a rete a costo quasi zero sia per la comunicazione che per l’energia.
    Affrontare la rivoluzione in atto può nel breve passare anche per forme come il reddito di cittadinanza, in vigore in altri paesi da decenni. Sono comunque misure che non saranno poi sostenibili neppure nel medio periodo. Per ora, per l’alternativa, non ci sono ricette precise che dovranno essere costruite nella pratica. Quella del modello dei commons di origini antichissime mi intriga perché può fare a meno del “governo” (inteso come sistema politico complessivo) che come dobbiamo constatare tutti i giorni e a tutti i livelli si rifugia sempre più in finti effetti speciali.
    Se è vero che una parte consistente di questi stravolgimenti avverrà nei prossimi due decenni forse c’è l’urgenza che ci si attrezzi anche a livello locale a prescindere da ciò che ci ammannisce il “governo”.

  20. luciano fiorani scrive:

    Non ho ancora letto questo ultimo libro di Rifkin ma è chiaro che siamo immersi in una rivoluzione (permanente?) che cambierà i vecchi paradigmi.
    E giustamente Paolo conclude affermando che non è solo un problema economico.
    Mi limito a segnalare che anche le istituzioni che ci siamo dati dovranno inevitabilmente essere aggiornate. Come pensiamo di farlo? Con la riforma del Senato e la nuova legge elettorale proposte dal governo?
    Le nuove tecnologie hanno già cambiato e continueranno incessantemente a stravolgere il vecchio modo di produrre. Tutto fa supporre che ognuno potrà diventare (in un futuro prossimo ragionevole) produttore di tanti piccoli oggetti di cui ha bisogno. Sicuramente una comodità che ci farà anche risparmiare tempo e denaro.
    Ma resta, vecchio come l’uomo, il problema del reddito. Fino ad oggi il reddito veniva assicurato dal lavoro; quando il lavoro, grazie alle nuove tecnologie, diventerà sempre più scarso e mal pagato su che basi pensiamo di assicurare un reddito dignitoso?
    Per ora c’è solo chi parla di reddito di cittadinanza. Esistono altre idee?

  21. carlo sacco scrive:

    Invito a leggere attentamente il teorema di Harrod- Domar che riguarda la modellistica post-keynesiana.Lì, ritengo siano contenute le risposte all’interrogativo sui cambiamenti che sono intercorse in un recente passato e che intercorreranno anche molto prima degli anni 2030.Una integrazione a tutto questo che porta alle conclusione per le quali si possa valutare quale qualità di futuro possa attendere il genere umano potrebbe essere anche il piccolo e veloce testo di Anna Maria Bertani di ben 40 anni or sono(anche se sembrano due secoli…)
    dal titolo ”Keynes nel marxismo di Sweezy”.Non è difficile fare il collegamento fra questi due, ma attenzione: questi testi potrebbero anche cambiare la vostra vita, od almeno la vostra
    concezione di quest’ultima.SNRNG(…senza nessuna responsabilità nè garanzia….)

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