Hippie trail

 

 

A psichedelic cross screen bosphorus sunset caming back from Uskudar. 1973

di Carlo Sacco

Sere fa ho incontrato in piazza a Chiusi il Sig. Roberto Donatelli la cui cordialità si percepisce

al solo guardarlo. Il suo sorriso spesso sfuggente quando ti incontra ma carico e denso di gioia di vivere mette sicuramente in risalto le doti di una persona pronta a recepire quanto passa intorno a lui in maniera subitanea e senza mediazioni di sorta. Non credo infatti che ne abbia bisogno di mediazioni e la sua essenzialità è anche forse il frutto del suo vissuto.

 Ma non è per intessere lodi al Donatelli che scrivo questo ma perché invece la sua figura mi fa ricordare un suo apprezzamento di un mio Post su Chiusiblog dal titolo ’’Le soddisfazioni di una Fotocamera’’. Un articolo che a Roberto -me l’ha riferito più volte- è rimasto in mente, forse per il suo strano e particolare contenuto.

 Mi ha spronato a scriverne un altro di quel tono e natura, perché forse quell’articolo gli faceva ricordare i suoi trascorsi inglesi in una epoca che oserei definire quasi ‘’della beat generation’’ e che aveva Londra al centro del mondo, della cultura, della musica e dei movimenti giovanili, del viaggiare e delle emozioni. Tutti andavano a Londra negli anni ’70 e la musica e la moda anche se aspetti esteriori del comportamento segnavano profondamente l’essere della persona. Lui era andato a lavorare e non a divertirsi, ma forse gli anni trascorsi in quell’ambiente hanno segnato la sua vita ed ancora oggi è sensibile al punto da poter recepire ogni diversità, ogni sfumatura di quello che passa intorno a lui dei comportamenti umani poiché la sua sensibilizzazione è talmente spiccata e diretta verso quell’ ‘’English way of life sensation story’’ che lo circonda.

Tutto questo si percepisce facilmente! Un articolo del genere che ho già scritto de che mette in evidenza quel mondo potrei benissimo scriverlo facendo riferimento ad un fatto preciso che seguii volutamente come esperienza di viaggio e di vita parlando di un reportage che decisi di fare sull’Hyppie Trail e cioè su quel flusso che partiva dall’America diretto in India di giovani Hyppies che transitavano per l’Europa e che si ritrovavano in Turchia ad Istanbul prima di affrontare il grande viaggio e perdersi nelle polverose strade della Persia, Afganisthan, Pakistan per poi arrivare in India.

 Ad Istambul il loro luogo d’incontro era il Pudding Shop un piccolo ristorante turkish style in Divanjolou Caddesi

Looking for seats to India inside Pudding Shop. Istanbul 1973

nel Sultan Ahmet.

 Lì cercavano passaggi, strapuntini in pulmini Volkswagen distrutti o semidistrutti con i quali raggiungere la meta che poteva per certi diventare la destinazione definitiva non escluse le risaie dei contadini nepalesi d’intorno a Kathmandu. Musica, Hashish , Opium cakes ,Marijuana, Cylooms and free sex non erano ingredienti che potevano mancare in quel trip di otto o nove giorni che ci volevano per arrivare a Delhi, Bombay o Goa. Le strade non erano tante ma transitavano tutti una volta in Afganistan e Pakistan per il Khyber Pass per raggiungere la valle di Kulu oppure le camionabili che dal Punjab scendono verso il Maharashtra e Bombay.

 Si guidava a turno 24 ore su 24.Ma la partenza di Istanbul era da non perdersi e fotograficamente raccontava uno spaccato di vita di quella beat generation che aveva rinunciato all’establishment ed inseguiva sogni carichi di fumo, socialità, protuberanze di visioni da acid people dietro le note dei Pink Floyd ,Crosby,Stills, Nash & Young. Studenti, operai, ragazzi che avevano i propri fratelli maggiori impegnati a dar la caccia ai vietcong nelle giungle del Vietnam e del Laos, pacifisti e tutta una umanità marginale che il sistema americano e la sua contestazione dall’interno aveva prodotto e sviluppato.

 C’era di tutto li dentro e l’obbiettivo della fotocamera doveva essere lo spettatore assoluto che avrebbe registrato la loro essenza. I pulmini cadenti a pezzi avevano mille disegni e graffiti sulla carrozzeria, partivano dal Sultan Ahmet per tuffarsi nel caotico traffico una volta stabilito chi avrebbe occcupato i posti e gli strapuntini, e

Along Divanjolu Kaddesi.Istanbul 1973

scendevano fino al Bosforo per poi passare a nord della Cappadocia, Erzurum, Theran, Kabul e Mazar I Sharif e la zona dei laghi di cobalto, arrivare al Khyber Pass per poi entrarein India. Cercavo di scattare senza farmi vedere dentro il Pudding Shop ed anche fuori per non mettere in soggezione che comunque viene spontanea se si sa di essere ripresi i personaggi più stravaganti, più essenziali, più marginali, uomini e donne che si percepiva al solo guardarle ciò che avevano in testa.

 Una sera ricordo che in India e precisamente a Varanasi, due anni prima che facessi tale reportage ad Istanbul incontrai una uomo ed una donna di nazionalità italiana e precisamente di Borghetto Vercelli di circa 23-24 anni (ancora ricordo i loro nomi) che aiutai a rifocillarsi poiché era circa un mese che mangiavano con un uovo al giorno, soldi finiti, sangue venduto agli ospedali per cercare di ritornare a casa. Mi raccontarono la loro disavventura avuta in Afganisthan in una sera con altri sei partiti con loro con un pulmino Volkswagen.Si erano fermati per mangiare in un luogo lungo la strada ed erano sopraggiunti uomini a cavallo che avevano violentato sia le donne che gli uomini derubandoli di tutto.

 Gli altri sei scioccati ripresero la via del ritorno, il ragazzo e la ragazza avevano continuato il loro trip per raggiungere il Nepal. Tutte queste storie non sempre sono state documentare dalla mia macchina fotografica per ovvie ragioni legate alla contingenza ed ai luoghi, ma qualcuna e qualche personaggio all’interno di tali storie sono stati ‘’congelati’’ da quel pezzo di vetro con sul retro la pellicola. E credetemi, moltissime di queste sono storie incredibili, come le persone che ne hanno fatto parte.

 Uomini e donne che spesso nel delirio consapevole dettato dal rifiuto totale del sistema

 irrazionale che li circondava avevano scelto di rimettersi in discussione con la determinazione di voler vivere pienamente i loro momenti di libertà che solo la rinuncia al superfluo considerato essenziale in questo mondo occidentale che non gli apparteneva forniva loro la forza del rifiuto e la spinta alla vita. Molti erano istintivamente genuini, altri molto meno, ma quelli più determinati e genuini avrebbero fatto parte di quell’umanità che oggi in Asia non s’incontra più da almeno 30 anni, ma che quando casualmente s’incontra non si fa fatica a riconoscere perché glielo leggi addosso ! E le loro sono storie incredibili….

Inn Eden Kathmandu

 

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