Il TAR annulla una delibera comunale su impianto ACEA. Si apre un nuovo capitolo su una assurda vicenda.

N. 00656/2025 REG.PROV.COLL.

N. 01066/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1066 del 2020, proposto da
Acea Ambiente S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pasquale Cristiano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Chiusi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Armenante, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Regione Toscana, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

– della Delibera di Consiglio Comunale n. 35 del 10.07.2020, pubblicata sull’Albo Pretorio in data 28.07.2020, recante “Variante n. 3 (Generale) del Piano Operativo – Approvazione”, nella parte in cui vieta sull’intero territorio comunale e, dunque, ivi inclusa sull’area di proprietà di ACEA Ambiente s.r.l. “la realizzazione di nuovi inceneritori di rifiuti; carbonizzatori; termovalorizzatori; discariche di rifiuti; nuovi impianti di trattamento rifiuti insalubri di prima classe, così come definiti dal D.M. 5 settembre 1994 e s.m.i.”;

– dell’Avviso di approvazione della variante n. 3 (Generale) al Piano Operativo e conclusione del processo di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) pubblicato sul BURT n. 41 del 07.10.2020; – – di tutti gli atti presupposti e segnatamente: della DCC n. 33 del 15.06.2018; della DCC n. 46 del 31.07.2018, poi integrata con DCC n. 53 del 26.09.2018; della DCC n. 74 del 28.12.2018; dell’avviso di adozione della Variante n.3 sul B.U.R.T. del 27.02.2019; della DCC n. 61 del 20.12.2019;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Chiusi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2025 la dott.ssa Silvia De Felice e viste le conclusioni delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con contratto stipulato in data 31 gennaio 2018, a seguito di procedura ad evidenza pubblica, la Società Acea Ambiente s.r.l. (di seguito anche solo Acea) ha acquistato dal Comune di Chiusi un compendio immobiliare classificato dal vigente piano operativo con la sigla AT-PA – 051 “Centro macellazione carni” – Aree di trasformazione degli assetti insediativi, con espressa destinazione ad area “industriale-artigianale”, per un corrispettivo di € 2.525.000.

Nell’offerta tecnica prodotta in sede di gara, come previsto dalla stessa lex specialis, la ricorrente ha descritto l’oggetto della propria attività commerciale, consistente nella gestione di impianti di recupero e smaltimento di rifiuti solidi e liquidi, e ha dichiarato di voler realizzare nel sito “un impianto industriale per il recupero di materia dai fanghi biologici provenienti dagli impianti di depurazione delle società del Gruppo Acea o partecipate dal Gruppo stesso”, indicando in modo puntuale anche le specifiche sezioni di cui lo stesso sarebbe stato composto (sezione di ricezione del rifiuto (fanghi biologici); sezione di carbonizzazione idrotermale; sezione di post trattamento; unità di essiccazione e pellettizzazione; impianto termico; cogeneratore a gas; impianto di trattamento delle acque di processo).

In quella stessa occasione è stata inoltre attestata dalla Società la compatibilità dell’intervento progettato rispetto alle previsioni urbanistiche comunali vigenti, essendo l’impianto riconducibile alle “destinazioni industriali con una previsione di realizzazione di circa 10.000,00 mq di SUL industriale rispetto ai 12.000,00 ammessi nell’area”.

La realizzazione dell’intervento progettato entro tempistiche ridotte, in base alla lex specialis, era peraltro oggetto di specifico punteggio premiale, utile alla individuazione del soggetto aggiudicatario.

2. La Società ricorrente, ritenendosi immediatamente lesa nella possibilità di utilizzo dei beni di proprietà per le finalità industriali sopra evidenziate, impugna, assieme agli ulteriori atti indicati in epigrafe, la delibera del Consiglio comunale n. 35 del 10 luglio 2020 di approvazione della variante n. 3 al piano operativo vigente, con la quale si è esclusa la possibilità di realizzare – nell’area da essa acquistata e comunque su tutto il territorio comunale – inceneritori, carbonizzatori, termovalorizzatori, discariche di rifiuti e nuovi impianti di trattamento rifiuti insalubri di prima classe, così come definiti dal D.M. 5 settembre 1994 e s.m.i., tra i quali ultimi rientra anche l’impianto progettato da Acea.

2.1. Con una prima censura si deduce lo sviamento di potere.

Ad avviso della ricorrente, infatti, gli atti attraverso i quali si è giunti all’approvazione della variante al piano operativo sarebbero stati adottati con il solo, specifico obiettivo di impedire ad Acea di realizzare l’impianto industriale per il recupero di materia dai fanghi biologici provenienti dagli impianti di depurazione – che rientra tra gli insalubri di prima classe ai sensi del D.M. 5 settembre 1994 e, segnatamente, nella categoria “100. Rifiuti solidi e liquami – depositi ed impianti di depurazione, trattamento – per il quale la stessa aveva appositamente e dichiaratamente acquistato l’area dal Comune.

Ciò troverebbe conferma nelle trascrizioni – allegate alla delibera n. 35/2020 – delle dichiarazioni dei consiglieri comunali, dalle quali emergerebbe il chiaro intento di impedire ad Acea di realizzare il progetto dichiarato al momento dell’acquisto dell’area.

2.2. Con una seconda censura si deducono i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione.

La variante, invero, sarebbe stata approvata senza tenere conto della situazione di fatto esistente sull’area acquistata da Acea e della sussistenza di un legittimo affidamento in capo all’acquirente in ordine alla compatibilità dell’intervento rispetto alla destinazione urbanistica dei terreni di proprietà.

Tenuto conto delle peculiarità della fattispecie, l’Amministrazione comunale avrebbe invero dovuto motivare in modo rigoroso, previo contemperamento degli opposti interessi pubblici e privati in gioco, la scelta di approvare una variante lesiva dell’interesse del privato.

2.3. Con una terza censura si lamenta la violazione dell’art. 216 del r.d. n. 1265/1934 e del d.m. del 5 settembre 1994.

In virtù di tali disposizioni, infatti, sarebbe illegittima la previsione di un divieto generalizzato di realizzare impianti industriali classificati insalubri sull’intero territorio comunale, anche nelle aree a destinazione industriale che, in base alla citata disposizione, sono quelle ritenute preferibili per detta tipologia di interventi.

3. Si è costituito in giudizio il Comune di Chiusi che, in via preliminare, ha eccepito il difetto di contraddittorio, poiché il ricorso è stato notificato soltanto alla Regione Toscana e non anche agli altri Enti intervenuti nel procedimento di approvazione della variante, tra i quali figurano la Provincia di Siena e l’Unione dei Comuni Valdichiana Senese.

E’ stata poi eccepita l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione degli atti presupposti alla variante, quali pareri, assensi, nulla osta, verbali della conferenza paesaggistica, atti del subprocedimento di VAS e la relazione finale dell’inchiesta pubblica promossa dalla Regione Toscana.

E’ stata altresì eccepita l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, dal momento che la ricorrente avrebbe spontaneamente rinunciato all’istanza di rilascio del titolo abilitativo necessario alla realizzazione dell’impianto di trattamento fanghi previsto nell’atto di acquisto dell’area, presentata il 5 novembre 2018 alla Regione Toscana.

Infine, le doglianze formulate dalla ricorrente sarebbero inammissibili in quanto volte a sindacare nel merito le scelte pianificatorie dell’Amministrazione, caratterizzate da ampia discrezionalità.

Nel merito, il Comune ha chiesto il rigetto del ricorso, poiché, in sintesi, non vi sarebbe prova del dedotto sviamento di potere, né sarebbe configurabile un affidamento legittimo tutelabile della ricorrente in ordine alla effettiva possibilità di realizzare l’impianto progettato, sin dal principio subordinato all’avvio e alla positiva conclusione di apposito procedimento autorizzatorio e al pieno rispetto delle regole in materia urbanistica e edilizia.

Inoltre, l’approvazione del nuovo strumento urbanistico – che in quanto scelta di natura programmatoria non richiede una motivazione particolarmente stringente – sarebbe comunque fondata su sufficienti ragioni di interesse pubblico e terrebbe conto di tutti gli interessi coinvolti.

In ultimo, sostiene il Comune che nessuna disposizione normativa precluderebbe all’Amministrazione di prevedere un divieto di realizzazione di impianti insalubri (e simili) sull’intero territorio comunale.

4. All’udienza pubblica del 20 marzo 2025 la causa è passata in decisione sulla base degli scritti difensivi, come da richiesta delle parti.

DIRITTO

1. Occorre in primo luogo chiarire che – contrariamente a quanto eccepito dal Comune resistente – il ricorso non doveva essere notificato alle Amministrazioni coinvolte nel procedimento di approvazione della variante al piano operativo per l’espressione dei pareri e degli altri atti di rispettiva competenza; nel caso in esame, infatti, sono stati impugnati e vengono contestati i provvedimenti di adozione e approvazione della variante al piano operativo, emessi dal Comune nell’esercizio della propria specifica competenza, per profili che attengono in modo esclusivo alla previsione degli interventi eseguibili in determinate zone del territorio comunale.

Né, d’altra parte, dovevano essere impugnati gli atti adottati dalle altre Amministrazioni, cui fa un generico riferimento il Comune resistente, posto che gli stessi, a prescindere dalla loro estraneità rispetto alle specifiche censure formulate nel ricorso, hanno comunque un rilievo meramente endoprocedimentale o, addirittura, non attengono al procedimento di approvazione della variante al piano operativo, come nel caso della relazione finale dell’inchiesta pubblica promossa dalla Regione Toscana, che riguarda esclusivamente l’iter di autorizzazione dell’intervento progettato da Acea.

Va altresì respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse in capo alla ricorrente, atteso che Acea, pur avendo rinunciato all’istanza di rilascio del titolo autorizzativo per la realizzazione dell’impianto presentata alla Regione Toscana il 5 novembre 2018, non ha per questo rinunciato alla possibilità di realizzare quello stesso tipo di impianto, esplicitamente dichiarato sin dalla partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica promossa dal Comune per la vendita dell’area oggetto di controversia e previsto nel contratto di compravendita. Nemmeno la circostanza che l’area possa essere sfruttata per interventi differenti, pur sempre compatibili con l’attività della ricorrente, è sufficiente ad escludere l’interesse di Acea a realizzare l’impianto di trattamento dei fanghi e la lesività del provvedimento impugnato.

Infine, è priva di pregio l’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Comune per insindacabilità delle proprie scelte pianificatorie, di carattere generale e programmatorio; infatti, il divieto di realizzazione di impianti insalubri previsto nella variante al piano operativo qui impugnata riguarda, in modo specifico, l’area di proprietà di Acea e ha ad oggetto la specifica tipologia di impianto da essa progettata e prevista nel contratto di compravendita stipulato con l’Amministrazione, andando perciò ad incidere in modo diretto sulla sfera giuridica della ricorrente medesima. La stessa ha quindi interesse a censurare i provvedimenti impugnati per mancato rispetto di quelle specifiche garanzie procedimentali volte ad assicurare un reale bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti e la tutela del suo legittimo affidamento.

2. Nel merito, le censure, che si esaminano congiuntamente, sono infondate, nei termini di seguito precisati.

Va innanzi tutto rammentato che, secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale, l’Amministrazione comunale ha il potere, ampiamente discrezionale, di imprimere alle aree del proprio territorio la destinazione urbanistica ritenuta più congrua, modificando, anche in termini peggiorativi per i privati proprietari delle aree, la disciplina preesistente.

Tuttavia, laddove sussistano posizioni qualificate di interesse e di affidamento dei privati, la stessa è tenuta ad adottare le proprie scelte pianificatorie tenendone conto, operando un adeguato contemperamento degli interessi pubblici e privati coinvolti ed esplicitando, con apposita motivazione, le ragioni di interesse pubblico che giustificano il sacrificio della posizione di interesse qualificato dei privati (cfr., tra le molte, Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 2024, n. 9444; Id., sez. II, primo settembre 2021, n. 6158; T.A.R. Campania, Salerno, sez. III, 8 ottobre 2024; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 30 dicembre 2019, n. 1101; Cons. St., sez. IV, 13 luglio 2011, n. 4243).

Ebbene, nel caso di specie, l’intenzione di utilizzare l’area per realizzarvi un impianto industriale per il recupero di materia dai fanghi biologici provenienti dagli impianti di depurazione è stata esplicitamente dichiarata da Acea sin dalla presentazione della sua offerta di acquisto nell’ambito della procedura comparativa avviata dal Comune per l’alienazione dell’area di proprietà sita in area a destinazione industriale, classificata come “Centro macellazione carni”.

L’indicazione dell’intervento che si intendeva realizzare sull’area costituiva infatti condizione di partecipazione alla procedura stessa e la rapidità nella sua realizzazione era addirittura considerata quale elemento da valorizzare mediante l’attribuzione di un punteggio premiale, ai fini dell’individuazione dell’offerta più vantaggiosa per l’Amministrazione.

Nell’ambito di tale procedimento Acea ha inoltre dichiarato la compatibilità dell’intervento programmato con la destinazione urbanistica dell’area e il Comune, sul punto, nulla ha contestato.

Nell’art. 9 del contratto di compravendita, inoltre, si è previsto che “In osservanza di quanto previsto all’art. 2 del bando di asta pubblica la parte acquirente si impegna a procedere alla richiesta di autorizzazione per le opere proposte e a realizzare il piano occupazionale secondo quanto da essa indicato in sede di gara nell’offerta tecnica e alle condizioni espressamente previste dal medesimo bando” (cfr. doc. 12 di parte ricorrente).

E’ possibile quindi affermare cha la realizzazione dell’impianto – ferma restando la necessità di verificare la sussistenza di tutti i presupposti di legge nell’ambito di apposito procedimento autorizzativo – costituiva, se non elemento causale o una condizione del contratto, quanto meno un presupposto o un elemento essenziale di esso, di cui entrambe le parti hanno tenuto conto al momento della sua sottoscrizione.

Da un lato sussisteva infatti l’interesse del Comune a vendere il bene e a vedere realizzato l’impianto per ottenere determinati livelli occupazionali nel proprio territorio; dall’altro vi era l’interesse di Acea ad utilizzare l’area acquistata per la realizzazione dell’impianto di trattamento fanghi progettato.

Appare allora evidente che la stipula del contratto di compravendita ha determinato l’insorgere di un legittimo affidamento della Società compratrice circa la sussistenza, almeno in astratto, di tutte le condizioni per la realizzabilità dell’intervento previsto, prima fra le quali la persistente compatibilità dello stesso rispetto alla destinazione urbanistica dell’area acquistata.

Il fatto che accanto al divieto specifico di realizzare gli impianti insalubri nell’area di proprietà della ricorrente (art. 112 delle n.t.a. del piano operativo) sia stato previsto anche un divieto più generale, operante sull’intero territorio (art. 80 delle n.t.a.), non è sufficiente ad escludere la portata direttamente lesiva della variante con specifico riguardo alla posizione di interesse e di affidamento vantata dalla ricorrente e a ricondurre il provvedimento impugnato nell’alveo della discrezionalità amministrativa pura, assolutamente insindacabile.

Né rileva il fatto che all’atto della sottoscrizione del contratto non vi fosse certezza circa la concreta possibilità di eseguire l’impianto, comunque subordinato alla preventiva approvazione di un piano attuativo e al rilascio dei titoli abilitativi necessari da parte dell’Amministrazione; tale incertezza, infatti, non esclude la sussistenza, come già detto, di un legittimo affidamento di Acea in ordine alla sussistenza e al mantenimento delle condizioni e dei presupposti per la sua realizzabilità.

Pertanto, a fronte di tali circostanze, il Comune, negli atti di adozione e approvazione della variante al piano operativo che ha vietato la realizzazione della specifica tipologia di impianto prevista da Acea, avrebbe dovuto dare conto della sussistenza di uno specifico interesse della Società all’utilizzazione dei terreni secondo quanto dichiarato in fase di partecipazione alla procedura comparativa di vendita e confermato nel successivo contratto di compravendita. Il Comune avrebbe quindi dovuto effettuare un equo contemperamento degli interessi contrapposti ed evidenziare in modo puntuale le ragioni di interesse pubblico prevalenti che, a suo avviso, giustificavano l’approvazione di una variante al regime previgente, in forza della quale si preclude la realizzazione dell’impianto di trattamento dei fanghi all’acquirente dell’area, in contrasto con quanto precedentemente pattuito tra le parti.

Ciò, tuttavia, nel caso di specie non è avvenuto.

Nelle delibere comunali non si fa infatti alcun cenno alla posizione della ricorrente e alla realizzazione dell’impianto prevista nel contratto di compravendita dell’area.

Dalla documentazione versata in atti, inoltre, non si evincono le ragioni di interesse pubblico che giustificano il divieto di realizzazione di impianti insalubri nell’area di Acea e nell’intero territorio comunale; nelle premesse della delibera n. 35/2020 di approvazione della variante n. 3 si legge soltanto che “dopo quasi due anni di vigenza del Piano Operativo, l’Amministrazione Comunale ha deciso di procedere ad una revisione ed aggiornamento della disciplina di Piano, che in questa prima fase di applicazione ha determinato alcuni problemi interpretativi e applicativi” e nell’intervento introduttivo del Sindaco si afferma che “Abbiamo esplicitato in maniera più chiara che nel territorio comunale non sono consentiti nuovi impianti di trattamento di rifiuti insalubri di prima classe così come definiti dal Decreto Ministeriale… accettando le osservazioni dei cittadini riuniti in comitato”.

Nemmeno nelle proprie memorie difensive il Comune chiarisce quali siano le primarie ragioni di interesse pubblico sottese alla propria scelta, limitandosi a richiamare le già citate generiche esigenze di revisione del piano operativo e non meglio precisate “osservazioni” proposte da un comitato di cittadini.

In aggiunta a quanto precede, occorre anche considerare come, in base a consolidata giurisprudenza, “in linea di principio non possa considerarsi legittima l’esclusione a priori per tutto il territorio comunale della possibilità di “insediamento di nuove attività classificate insalubri di prima classe dal D.M. 5 settembre 1994”, in base ad una norma di pianificazione generale. Se infatti, per ipotesi, si volesse ammettere una tale possibilità per tutti i comuni d’Italia si finirebbe, in via di fatto, per impedire la realizzazione di industrie insalubri di prima classe in tutto il territorio nazionale con gravi danni al sistema produttivo nazionale, sotto il profilo economico, occupazionale, ed anche ambientale perché impedirebbe lo sviluppo di una moderna industria (connotata cioè dalla progressiva applicazione delle migliori tecniche disponibili, c.d. BAT, peraltro attualmente in corso di aggiornamento da parte della Commissione Europea ai sensi dell’Art.13, 3 par. lett. c) e d) della Direttiva sulle Emissioni Industriali n.2010/75/EU)” (cfr. Cons. Stato, n. 4243/2011 cit.).

Inoltre, pur volendosi ammettere che la pianificazione urbanistica possa prevedere scelte orientate a limitare l’insediamento di attività suscettibili di generare problematiche igienico-sanitarie, la stessa deve essere accompagnata da soluzioni alternative praticabili, che prevedano, ad esempio, l’uso di spazi ed aree più idonei ad ospitare questa peculiare tipologia di attività (cfr. T.A.R. Brescia, n. 1101/2019 cit.); anche con tale principio contrasta, pertanto, la previsione di un divieto generalizzato, come quello di cui si controverte.

Infine, va rammentato che l’art. 216, comma 5 del r.d. n. 1265/1934 pone limitazioni alla possibilità di realizzare impianti insalubri nell’abitato per ragioni igienico-sanitarie, ma non in tutto il territorio comunale, tanto meno in assenza, come nel caso di specie, di una motivazione rafforzata che spieghi le ragioni di una misura così drastica e rigorosa. Si rammenti, peraltro, che la norma citata fa salva la possibilità, per l’interessato, di dimostrare che, per l’introduzione di particolari cautele, l’esercizio di tali impianti non reca nocumento alla salute del vicinato.

Ecco dunque che, alla luce dei molteplici elementi sopra evidenziati, la previsione del divieto di realizzare impianti insalubri, nell’area della ricorrente e su tutto il territorio comunale, viene a disvelare uno specifico intento impeditivo ed espulsivo dell’attività programmata da Acea, esplicitamente approvata e richiesta dallo stesso Comune con la sottoscrizione del contratto di compravendita del 2018. Sotto tale profilo si ritiene pertanto configurabile anche il denunciato sviamento di potere, che trova peraltro conferma nell’esplicito tenore delle dichiarazioni rese dal Sindaco e dai consiglieri in occasione dell’approvazione della variante (cfr. docc. 1, 3 di parte ricorrente).

3. Visto tutto quanto precede, il ricorso è fondato e va accolto.

Per l’effetto, devono essere annullati gli atti impugnati dalla ricorrente, nella parte in cui hanno previsto il divieto di realizzazione, nell’area acquistata da Acea e su tutto il territorio comunale, di impianti insalubri di prima classe, così come definiti dal D.M. 5 settembre 1994 e s.m.i., cui è riconducibile l’impianto progettato dalla ricorrente, previsto nel contratto di compravendita del 31 gennaio 2018.

4. Le spese del giudizio sono poste a carico del Comune di Chiusi, secondo il criterio della soccombenza.

Le stesse, invece, possono essere compensate nei confronti della Regione Toscana, non costituitasi in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini precisati in motivazione.

Condanna il Comune di Chiusi al pagamento delle spese di lite a favore della parte ricorrente, liquidandole in complessivi euro 3.000,00 oltre oneri accessori come per legge e rimborso del contributo unificato versato.

Spese compensate nei riguardi della Regione Toscana.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2025 con l’intervento dei magistrati:

Silvia La Guardia, Presidente

Flavia Risso, Consigliere

Silvia De Felice, Primo Referendario, Estensore

 
 
L’ESTENSOREIL PRESIDENTE
Silvia De FeliceSilvia La Guardia
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.

Una risposta a Il TAR annulla una delibera comunale su impianto ACEA. Si apre un nuovo capitolo su una assurda vicenda.

  1. Sergio scrive:

    sentenza ineccepibile.

I commenti sono chiusi.