Intolleranza: una lezione da Chiusi

di Paolo Scattoni

Parto da Chiusi. Nel nostro comune gli stranieri sono più del 15% della popolazione.

Circa la metà di questi sono extracomunitari e l’altra metà comunitari, soprattutto rumeni.

Secondo gli esperti dovremmo essere in piena emergenza perché quando si supera il 10% cominciano i conflitti. Invece da noi per fortuna questi conflitti non ci sono. Ci siamo domandati il perché?

Semplice. Organizzazioni di volontariato, prima fra tutte la Caritas, hanno operato molto bene. Negli ultimi mesi ho avuto modo di conoscere da vicino la nostra scuola media superiore. Ho trovato molti stranieri che parlano un ottimo italiano e non li distingui se non quando leggi il loro cognome. Molti di loro sono ragazzi brillanti e preparati.

Ho un parente che arrivato qui quindici anni fa perché in Etiopia, lui eritreo, rischiava moltissimo durante la guerra fra Etiopia ed Eritrea. Lavora da quando è arrivato. Ha famiglia, è stimato nell’ambiente di lavoro ed è perfettamente integrato. Da quattro anni aspetta la risposta a una domanda di cittadinanza di cui avrebbe avuto diritto dopo 10 anni di residenza. Un riconoscimento che non arriva e non se ne capisce il perché.

Sulle proteste di Roma leggo due elementi. Il primo è l’incapacità di trattare il problema immigrazione con la dovuta accortezza e competenza. Il secondo elemento è la demagogia politica che ormai domina il nostro Paese. Personaggi come Borghezio (ma anche tanti altri leghisti e pure grillini e “democratici”) che ad ogni pie’ sospinto lanciano messaggi che fanno presa “prima gli italiani”, “li manteniamo in alberghi con piscina”, e così via.

C’è un passaggio serio da fare. Le comunità interessate da questi problemi debbono dotarsi di “piani di comunità” dove i problemi debbono essere affrontati nella loro reale consistenza.

Dovremmo farlo anche qui da noi prima che la “ebola della demagogia” arrivi anche a Chiusi.

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