C’è un aspetto ancora più complesso che investe il declino di certi paesi che hanno il loro centro storico in collina, la cui soluzione (se mai ci sarà) non può che essere a lungo termine. L’investimento per il “recupero” di una cultura abitativa e piccolo commerciale di “qualità”. Aveva ragione Chombart de Lauwe nel dire che gli urbanisti dovrebbero lavorare affiancati a sociologi e antropologi edificando città a misura dei bisogni e delle aspirazioni degli abitanti.
La modernizzazione, le difficoltà e il non saper recuperare gli spazi abitativi, motivi pratici ed economici, mentalità e necessità, hanno costretto molti abitanti dei centri storici dei nostri paesi ad uscire dalle vecchie abitazioni per andarsi ad insediare dove una volta si accampava il nemico. Poco fuori delle mura, dove è stato possibile soddisfare quel bisogno di “ delimitare” il proprio territorio, “sacro” ben diviso dall’indifferenziato e caotico “fuori”. Ad aiutare indirettamente tutto questo gli strumenti urbanistici che nelle loro previsioni delle zone abitative residenziali, hanno favorito, come ad esempio a Cetona, la ricostituzione di agglomerati urbani ad alta densità.
Di fatto sono state ridisegnate le caratteristiche di paese, con piccole piazze e vicoli, senza quegli aspetti e spazi commerciali. La gente ha ritrovato un ambiente più decoroso (comodità ed elemento di distinzione sociale, di determinazione di status) con quelle caratteristiche di “rione” con la sola mancanza di presupposti per una “socialità” da condividere nell’immediato. La porta di casa ha segnato il confine tra “privato” (affettività, intimità, privacy) e “pubblico” (vita sociale, rapporti secondari, lavoro). Quel venir meno di una socialità con il vicino di casa, il commerciante, con il farmacista, con lo sportello postale e bancario con l’evento musicale, teatrale, artistico in genere.
Questi “privilegi” sono rimasti nel centro storico e che per raggiungerli spesso occorre spostarsi in auto con tutte le difficoltà del caso, trovando la piazza principale magari chiusa al traffico, le difficoltà nel trovare i parcheggi e tutto quello che può rappresentare la mancanza di comodità nell’avere tutto a “portata di mano” come una volta accadeva. Le “esigenze primarie” non si sono coniugate a tutti gli effetti con la vita sociale ed economica di un centro storico con determinate caratteristiche. E tutto è stato una conseguenza come il “deserto” dei centri storici e il commerciante sull’uscio del negozio ad ululare alla luna.
Il paradosso con quanto è avvenuto lo si può constatare se osserviamo l’organizzazione e le caratteristiche dei nuovi spazi commerciali Outlet proprio nella Valdichiana. A ben guardare si può notare che non sono altro che “paesi” circondati da un parcheggio. Enormi spacci di vario genere dove grandezza e quantità di merce (a volte noti il vuoto di persone) rappresentano l’errata dimensione. C’è una piazza principale che da l’idea del cuore del borgo (con tanto di giostra per i bambini) e le vie che vi si diramano dove sono affacciati i negozi. Vi sono ricostruiti virtualmente portici e vicoli, balconi con tanto di vasi infiorati, bar nei punti strategici, i ristoranti ai piani superiori quale ubicazione e rappresentazione, con i loro focolari, degna delle nostre abitazioni di paese.
In questo contesto si riproduce la quotidianità e il vissuto di un paese con tanto di “vigili urbani” motorizzati. Domanda: dove sta la differenza, negli ambienti, tra quelli dei nostri paesi e quelli riprodotti in scala virtuale? In realtà sta nella perduta “autenticità” e nel desiderio di renderci “socialmente” anonimi. L’evolversi delle mentalità ha prodotto le contraddizioni. Per quanto riguarda la “casa”, si sono costruite scatole di cemento armato rivestendo le travi con il legno e arredato gli spazi con mobili in stile. Si è scelto un pavimento in cotto per avere l’idea del vissuto e ci si è dimenticati, o abbiamo distrutto, quello autentico.
E nel settore commerciale? La qualità e il modello di un abito, di una merceria qualsiasi, di un paio di scarpe, di un piccolo oggetto di artigianato, elettrodomestico, di una erboristeria, il cibo di un ristorante o l’aroma di un caffè che si trovano in un Centro Commerciale è diverso da quello che si potrebbe trovare sotto casa? E allora, si può pensare, con le ovvie adeguate proporzioni geometriche, di ricollocare nel suo habitat naturale di centro storico quella “idealtipo” di sistema abitativo e commerciale, per avere di tutto e di più a “qualità-prezzo”? Per queste considerazioni non si può che condividere l’idea di un “recupero e manutenzione” dei nostri centri storici poiché l’alternativa è proprio una “illusione e spreco di ambiente” sotto tutti gli aspetti…
E’ fondamentale, secondo me,
Dopo decenni di: “più facile, a portata di mano, scegli il meglio…” eccoti scodellata la pappa bella e pronta.
Non c’è che da servirsi.
Mi piace molto questo articolo, ma mi solleva anche il dubbio che un cofattore del successo del borgo virtuale è che viene anche disegnato attorno al concetto di “easy”: è tutto in pianura, con vie generosamente larghe e mai con scalinate che non siano altrimenti aggirabili. Come giustamente fa notare Mercanti, è poi ben servito in quanto a parcheggio.
Ho il sospetto che il borgo vero delle nostre zone manchi di “easiness” (e in definitiva è affascinante anche per questo). Conta questo requisito per un centro commerciale? Quanto?
Condivido quanto scritto da Massimo Mercanti ma voglio aggiungere un particolare non indifferente e cioè che nei centri storici sono rimaste per lo più persone anziane che hanno difficoltà a raggiungere i centri commerciali quindi costrette a fare la spese nei negozi di vicinato dove la merce, comprensibilmente, costa qualcosa in più ma per lo meno sono raggiungibili e ti offrono delle garanzie sul prodotto. Con queste liberalizzazioni del governo Monti cosa succederà, anche le farmacie lasceranno i centri storici per andare verso gli outlet? Per come è impostato il D.L. attualmente sicuramente al “Valdichiana” una ne aprirà. Ed allora chi troverà giovamento chi si potrà spostare con facilità o chi, anziano, non lo potrà fare?
Sono di parte scusatemi 🙂
Sono d’accordo. La questione delle scienze sociali che dovrebbero costituire un riferimento importante per l’urbanistica è assai vecchia. Già nei primi decenni del secolo scorso si sono scontrate due scuole di pensiero: l’urbanistica come attività caratterizzata dall’interdisciplinarietà e un’urbanistica “figlia” dell’architettura. Hanno prevalso gli architetti, purtroppo.
Credo che l’articolo debba essere fatto leggere in tutte le scuole. Con un pò di fortuna i futuri legislatori avranno una coerente e solida base su cui svolgere il loro lavoro…….speriamo di averne il tempo!