L’arrivo della ferrovia tolse Chiusi da un isolamento secolare

 di Fulvio Barni

Chiusi, a meta dell’ottocento, soffriva ancora le pene di quell’isolamento in cui si era venuta a trovare dopo la decadenza nella quale era precipitata durante il medioevo.

Declino causato non soltanto dalle vicende politiche, ma anche, e soprattutto, dall’impaludamento dei territori circostanti che ebbe come conseguenza la malaria. Ulteriore motivo d’impoverimento fu la mancanza di vie di comunicazione che permettessero lo scambio dei commerci.

Le principali strade che da Firenze arrivavano a Roma, non avevano contatto diretto con Chiusi, pertanto, chi avesse avuto voglia di arrivare nella nostra città, sarebbe stato costretto a fare tortuose e scomode deviazioni. A parte coloro che avevano necessità di recarvisi, pochi altri erano disposti a farlo, sia per le maggiori spese da sostenere, che per l’alto rischio sanitario cui andavano incontro: la malaria era in costante agguato.

Sarebbe superfluo affermare ancora che la scarsissima rete stradale con cui Chiusi doveva fare i conti, rifletteva la propria negatività anche sul servizio postale. Fu la vicina Radicofani, infatti, per centinaia d’anni, il centro di smistamento della posta da cui dipese la nostra città. La ridotta lontananza, però, non significò per niente un privilegio. È vero che le distanze chilometriche erano più o meno le stesse di oggi, ma è altrettanto vero che i mezzi di trasporto lasciavano molto a desiderare.

Il comune inviava i corrieri a ritirarla, ma in maniera molto saltuaria. Bisogna arrivare ai primi anni del seicento, perché questo servizio assumesse una cadenza quasi periodica. Poi, verso la metà dello stesso secolo, fu istituito definitivamente un servizio di collegamento con quella cittadina, che però, definirlo regolare sarebbe proprio esagerato. Non si può neppure sostenere che col passare degli anni il servizio postale fosse andato migliorando, anzi, semmai accadde proprio l’esatto contrario.

La più piccola e meno importante Cetona, ci superò in fatto di precedenza di smistamento, nonostante Chiusi fosse sede di tribunale criminale. Le riforme del Granduca Leopoldo I, migliorarono di molto la vita dei chiusini, sotto tutti gli aspetti, se si esclude però, ancora una volta, la consegna della posta. Con la creazione delle Vie Regie Postali, infatti, fu incaricato il comune di Montepulciano di ritirare la posta indirizzata a Chiusi, oltre naturalmente alla loro. Un lieve miglioramento si ebbe a partire dal 1849, quando, per iniziativa di un privato, fu istituito un regolare servizio di diligenze tra Chiusi e Siena. Nel frattempo, molto lentamente, era cominciato per Chiusi un tenue risveglio da quel secolare sonno in cui era caduta.

Le prime importanti scoperte archeologiche, avvenute agli albori del XIX secolo, avevano richiamato nella nostra città un buon numero di nobili e ricchi personaggi appassionati di cose etrusche, che per qualche decennio fecero di Chiusi un centro di notevole interesse. Non fu però certamente l’archeologia da sola, a dare a Chiusi l’impulso per la sua rinascita economica, anche se non possiamo nascondere che ebbe un ruolo abbastanza importante. Chi invece svolse una funzione essenziale, fu il consistente incremento delle colture agricole, dovuto alla possibilità di coltivare nuove estensioni di terreni prosciugati. Sottratti con la bonifica a quell’impaludamento in cui gran parte del territorio chiusino si era venuto a trovare nel corso dei secoli.

Ma il vero fiorire dell’economia, la possibilità di venir fuori da quell’isolamento di cui Chiusi soffriva da sempre, la città l’ottenne soltanto quando, sulla piana sottostante, arrivò la ferrovia. Fortunatamente, il sovrano di Toscana Leopoldo II, riuscì fin da subito a comprendere quali effetti avrebbe potuto generare la costruzione della strada ferrata, per quanto riguardava il settore economico del suo Granducato. Poco prima del 1840, il monarca incaricò un gruppo di studio, formato soprattutto da ingegneri, di valutare la fattibilità della cosa ed eventualmente redigere un progetto.

Tutto ciò si svolse molto velocemente e nel giro di pochi anni anche la Toscana vide realizzati i suoi primi chilometri di strada ferrata. Nel marzo del ’44 era già percorribile la Pisa-Livorno e di lì a poco la Firenze-Empoli. Ma la maggiore aspirazione del governo fiorentino, era quella di collegare le proprie ferrovie con quelle dello stato Pontificio. Due anni dopo, infatti, un ulteriore studio, commissionato sempre dal Granduca, verificava la possibilità della realizzazione di un tratto che da Firenze, proseguendo per Arezzo e tagliando per la Val di Chiana, arrivasse fino al lago Trasimeno per congiungersi con le strade ferrate pontificie.

L’attenzione, tuttavia, fu rivolta anche ad una seconda linea denominata “Centrale Senese”, che da Siena, attraversando la Val di Chiana longitudinalmente, si sarebbe raccordata con la prima, per arrivare infine al limite dello stato Pontificio verso Chiusi. Leopoldo II, purtroppo, nel 1852 scelse il tratto aretino per avere questo congiungimento. Ci furono da allora grandi mobilitazioni da parte delle popolazioni, quella chiusina compresa, interessate al passaggio della ferrovia senese e tutto ciò fece in modo che nell’aprile del ’54, il Granduca si convincesse e acconsentisse alla sua costruzione.

Fatto curioso, a dimostrazione dell’ignoranza in cui versavano i contadini di allora, è che con l’avanzare dei lavori per la strada ferrata, procedeva di pari passo, per le zone della Val di Chiana in cui le vaporiere operavano già, la diceria che i loro fumi fossero veicolo di propagazione delle malattie delle viti. Naturalmente tutto questo era falso, ma il governo centrale dovette intervenire più volte con lettere indirizzate ai vescovi, pregandoli che ordinassero ai parroci delle proprie diocesi di leggere in chiesa, la domenica, durante la messa, un’epistola in cui si smentivano quelle voci calunniose.

Ormai era certo che tutte e due le linee sarebbero state costruite, ma i dubbi sul fatto che la ferrovia arrivasse fino a Chiusi non si dissolsero. La notizia certa i chiusini l’ ebbero il 30 gennaio 1860, quando Bettino Ricasoli, capo del governo provvisorio toscano, firmò il decreto che modificava il tracciato iniziale della “Centrale Senese” e stabiliva che “La linea si muoverà dalla stazione fra Bettolle e Torrita con dirigersi a Chiusi per le tenute dell’Abbadia e dell’Acquaviva. Una stazione di seconda classe sarà aperta in ciascuna di queste tre località”.

L’apertura del tratto Torrita-Chiusi avvenne due anni dopo, sotto la neonata unità d’Italia, il 24 luglio 1862, quando fu inaugurata la nostra stazione. Nel dicembre dello stesso anno ci fu il prolungamento fino a Ficulle. Ad Orvieto vi giunse nel dicembre del 1865. Nel marzo 1874 si raccordò ad Orte con l’ex ferrovia pontificia e finalmente la strada ferrata che da Chiusi avrebbe raggiunto Roma poteva dirsi completata.

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6 risposte a L’arrivo della ferrovia tolse Chiusi da un isolamento secolare

  1. pscattoni scrive:

    Carlo (Sacco) il mio era un invito a rimanere sul tema lanciato da Fulvio Barni. le discussioni che si articolano su diramazioni secondarie (molto nobili per carità, ma no attinenti alm tema specifico -in questo caso la rottura dell’isolamento di Chiusi con l’arrivio della ferrovia) hanno spesso l’effetto di chiudere la discussione. E’ come essere in quattro o anche sei intorno a un tavolo dove coppie di interlocutori seduti di fronte parlano di temi assai diversi fra loro. Converrai con me che la cosa è abbastanza scomoda. Poi ognuno, nel rispetto delle regole del blog, può utilizzare i suoi 1400 caratteri come meglio crede. Libero anch’io, però, nel richiamare l’attenzione sul tema principale, nella speranza di rilanciare la discussione.

  2. carlo sacco scrive:

    Paolo(Scattoni),solo oggi 27 Dicembre ho letto ciò che ti domandi.La mia evidentemente non era una risposta al post di Barni(mi sembra chiaro), ma all’articolo di Fiorani sì, a riguardo di ciò che si afferma sulla Nazione e cioè che in tale giornale si dica che i pendolari-finalmente- abbiano vinto la loro battaglia….il tutto ne fa conseguire che il senso della considerazione che faccio alla fine possa essere forse anche un po’ azzeccato. O no ? Se non piace pazienza, ma questi sono tempi nei quali forse almeno come tendenza dovrebbe sembrar meglio(sempre da chiedersi ”per chi” certo) andare a fondo alle cose e vederci-senza fumosità o fantasie -il collegamento fra il microscopico ed macroscopico.Non mi sembrerebbe poi poi tanto assurdo o fumoso….

  3. pscattoni scrive:

    Carlo (Sacco) ma che c’entra con l’argomento del post di Fulvio (Barni)?

  4. carlo sacco scrive:

    Prendo spunto per osservare che non decenni or sono ma qualche anno fa, la Nazione era palesemente schierata per l’establishment di centro destra e per il cosiddetto perbenismo ipocrita delle classi medie(come del resto lo è anche adesso), ora evidentemente si è messa anche ad allisciare l’establishment del cosiddetto ”centro sinistra”. Cosa è cambiato, non tanto nella Nazione, fermo restando sempre il vecchio discorso di Alphone Daudet che vale per tutti: ”Fra la puttana ed il giornalista forse il più venduto non è la puttana”? Per questo sarebbe bene chiedersi se non sia forse che i valori che stanno di base della sinistra non sono più quelli mentre quelli del capitalismo, pardon del mercato, sono diventati parte integrante della sinistra. E allora mi sorge spontanea un altra riflessione: qualche decennio fa la sinistra un po’ più vera e consistente voleva cambiare il mondo, adesso è il mondo che ha fatto cambiare la sinistra. Il guaio è che se si fa un discorso di questo tipo a chi lo recepisce appaia come una normalità, mentre il senso critico che animava la sinistra è totalmente scomparso fra il fastidio che danno certi pensieri e la noncuranza generale.
    Berlusconi ha incarnato quello che sempre la destra è stata storicamente, gli altri che hanno dato carta bianca a Monti sanno bene che la restaurazione delle loro mura debba avvenire tramite l’ombrello di Cipputi.
    Questa è diventata quella sinistra che si fa chiamare in quel modo ma che sinistra non è.

  5. lucianofiorani scrive:

    Per l’assai precaria situazione della stazione di Chiusi ci sono molte spiegazioni ma nessuna giustificazione.
    Nel disinteresse civico richiamato da Miccichè sottolinerei quello ostentato dalle forze economiche che, evidentemente, hanno visto nella stazione un edificio utile solo per appiccicarci un accrocco come la pensilona.
    Però non dimentichiamoci mai di quelli che sono contenti.
    La Nazione di oggi afferma che Ceccobao e i pendolari hanno vinto la loro battaglia.
    Che si vuole di più?

  6. pmicciche scrive:

    Vediamo se, grazie all’assenza di interesse “indigeno” su questo argomento – sia civico che politico – dai dai si riuscirà a compromettere anche questa grande conquista per Chiusi…..fare e disfare è tutto un lavorare……

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