Perché la diminuzione dei prezzi è una pessima notizia

 

 

di Lele Battilana

 

Da giorni ormai si sente parlare di pericolo deflazione, dando per scontato che tutti sappiano di cosa si tratta.

 La deflazione consiste nella diminuzione dei prezzi al consumo in un certo periodo di tempo, cioè l’esatto contrario dell’inflazione. Finalmente, diranno le famiglie alle prese con una crisi economica che sembra non voler finire mai. Purtroppo non e’ cosi’. Proviamo a vedere  perche’ misurandone gli effetti su tre soggetti economici: i consumatori, le imprese e lo Stato.

 Per i consumatori la diminuzione dei prezzi al supermercato ( e non solo) e’ inizialmente una manna. Se i prezzi diminuiscono il salario a disposizione consente di acquistare un numero maggiore di beni oppure gli stessi beni di prima spendendo meno. Il potere d’acquisto della moneta aumenta. Per le imprese comincia ad essere un problema serio quasi subito: infatti i clienti (consumatori), aspettandosi che uno stesso bene possa diminuire di prezzo a distanza di poco tempo, diminuiscono gli acquisti rimandabili e le imprese incassano di meno.

 Se questo fenomeno dura nel tempo, le imprese possono diminuire i salari ( se viene trovato un accordo con i sindacati) oppure licenziare. Ma i dipendenti licenziati sono anche consumatori, ed e’ per questo che la deflazione e’ una pessima notizia anche per i consumatori.

 Altro aspetto perverso della deflazione riguarda i debiti contratti dalle famiglie consumatrici e dalle imprese. E vedremo poi anche quelli dello Stato. Se una famiglia ha stipulato un mutuo per l’acquisto della casa in un periodo in cui c’e inflazione,  con i prezzi che aumentano ed il potere di acquisto della moneta che diminuisce, dovra’ restituire nel tempo la stessa quantita’ di moneta nominale, che pero’ nel frattempo si e’ svalutata.

 Tra l’altro, molto probabilmente, se l’aumento dei prezzi e’ costante, gli stipendi  vengono in qualche modo agganciati e crescono anch’essi. Se invece siamo in periodi di deflazione, il debito contratto avra’ lo stesso valore nominale, ma varra’ di piu’ e gli stipendi rischiano di diminuire, se non di cessare ( in presenza di licenziamento). Per le imprese il meccanismo e’ lo stesso. Se diminuiscono le vendite, ci sono minori risorse da destinare al pagamento dei debiti, con il rischio anche del fallimento. Infine vediamo i riflessi della deflazione sul bilancio dello Stato.

 Per uno Stato come il nostro, che ha un debito pubblico ( somma di tutti i deficit annuali accumulatisi nel tempo)  superiore al  130 % di tutto cio’ che gli italiani producono in un anno (PIL), la deflazione può’  essere devastante. I

 l debito pubblico,  che ricordiamo supera i 2.000 miliardi di euro, rimane sempre dello stesso valore nominale, ma se diminuisce il Prodotto Interno Lordo ci sono minori risorse per pagare gli interessi su BOT, CCT,BTP e il deficit (disavanzo annuale tra entrate e uscite dello Stato) rischia di sforare il fatidico 3% consentito dall’ Unione Europea. Di fronte a questo scenario poco promettente e al ristretto spazio di manovra che hanno gli Stati nazionali per rilanciare i consumi, dobbiamo sperare che Mario Draghi (Presidente italiano della Banca Centrale Europea) riesca a convincere i mercati che e’ determinato a rilanciare la domanda interna in Europa e a svalutare l’euro per rilanciare le esportazioni. A questo punto mi piacerebbe sapere, sia detto senza nessun intento polemico, quali sono invece le ricette alternative dei teorici, o dei seguaci, della ” decrescita felice”.

 

 

Questa voce è stata pubblicata in ECONOMIA. Contrassegna il permalink.

7 risposte a Perché la diminuzione dei prezzi è una pessima notizia

  1. carlo sacco scrive:

    Penso che il credo sulla possibilità di modificare il capitalismo riceva una plateale smentita solo guardando il mondo odierno da quali concetti e da quale cultura sia dominato e come funzioni.Di contempo stiamo assistendo a livello globale ad una giornaliera riproposizio- ne che l’unica condizione possibile per l’uomo sia il capitalismo anche se produce la tendenza all”estinzione del mondo,facendo pensare ai suoi pervicaci sostenitori che la libertà occidentale possa essere il mezzo con il quale esso si serva per modificare i propri princìpi,anche esportandola in altri paesi.E’ l’etica del capitalismo che non è modificabile o se lo fosse,poco dopo ripropone esso stesso le condizioni della propria difesa ed affermazione anche con le armi,perchè esistono gli interessi individuali,di gruppi e di politici messi lì a guida per far rispettare interessi.Alla fine il capitalismo ha creato le condizioni per rimangiarsi quanto prima aveva ceduto con le lotte.Ricordo all’amico Battilana che i diritti da che mondo è mondo non sono mai garantiti (ed il capitalismo di questo ne sà qualcosa),i diritti sono sempre conquistati.Il capitalismo non ha amici:o ha servi od ha nemici.Funziona sempre da 2000 anni allo stesso modo.Sai qual’è il tragico Raffaele? E’ che il parco buoi non capisce,ma si adegua…e parecchi incantatori di serpenti hanno buon giuoco e la delega non è la loro.

  2. Lele Battilana scrive:

    Ognuno, naturalmente, fa le scelte di acquisto che ritiene più opportune. O almeno tutti coloro che dispongono di un reddito dignitoso. Purtroppo certi dati forniti anche dalla Caritas parlano di un aumento del numero dei poveri che fanno la fila alle mense sociali e non hanno soldi per le medicine. Quindi non si tratta di rinunciare al superfluo. Per quanto riguarda l’affermazione di Francesco invertirei i giudizi:fallimento del socialismo ( e lo dico con dispiacere) e forti criticità del capitalismo. Personalmente mi interessano tutti quegli economisti che lo ritengono modificabile. Non comprare italiano poi e’ del tutto legittimo, ovviamente. Basta essere consapevoli che probabilmente ne risentono più i lavoratori che i governanti.

  3. Spero solo che nessuno finisca col sostenere, come la pubblicità berlusconiana di qualche anno fa, che solo comprando oggetti dei quali non abbiamo bisogno salviamo il paese. Personalmente non credo che la colpa dei nostri problemi sia della ente che non compra più beni futili. Prima fanno la finanza creativa e si mangiano tutto, poi vorrebbero far di nuovo pagare alla gente le amenità compiute fino ad ora. Abbiamo preso atto delle criticità del socialismo, ra è venuto il momento di ammettere il fallimento del capitalismo e del libero mercato. Personalmente cerco di comprare meno pssibile e se se proprio devo di darlo fuori dal mio paese. Anche questo è un modo di non votare chi non mi piace.

  4. carlo sacco scrive:

    Concordo sul senso del quale parla Sorbera.Le cose credo che nella loro complessità se analizzate una per una si potrebbe dire che potrebbero essere anche semplici.L’autonomia monetaria,che però avrebbe successivamente più velocemente o meno implicazioni sui mercati, potrebbe-se voluta istituire-portare alla fine del processo deflattivo del quale Battilana dice di aver paura poichè”è un brutto segno”che fa sentire che siano finite le pile.L’autonomia monetaria non si esaurisce solo nel fatto di stampare moneta,ma anche di controllare più da vicino il fabbisogno che i buchi senza fondo dello stato inghiottono(PA,Difesa,Sanità ecc ecc).Lì, andrebbero fatte le riforme altro che nell’eliminazione dell’Art.18 che si capisce bene che sia una manovra di piccolo cabotaggio per favorire i datori di lavoro delle piccole e medie aziende ma che impoverisce ancor di più i lavoratori.Poi ci si meraviglia se i nostri discorsi sull’ aziendalismo portino ormai da anni a beneficiare i soliti noti. Si percepisce senza ombra di dubbio che il Governo navighi a vista e non potrebbe essere diverso da così.

  5. enzo sorbera scrive:

    In effetti, il cambio di schema è piuttosto evidente: da fenomeno ciclico, subìto, (secondo la teoria classica), la crisi oggi viene pilotata e governata per renderla permanente. L’obiettivo è di smantellare sia il welfare sia la necessità di redistribuzione/confronto. Si pensi ad es. al fatto che Madia subordini la ripresa della contrattazione all’approvazione della sua riforma della PA. E’ perfettamente in linea con gli interventi extra quadro normativo di Monti e della sua ineffabile Fornero.

  6. carlo sacco scrive:

    Avevo spedito una risposta a Lele ma forse ho fatto male i conti come sempre sforando oltre le 1400 battute e la tagliola dello Scattoni è scesa peggio di una ghigliottina.Comunque avevo creduto di dimostrare che i postulati messi in evidenza da Lele non mi trovavano d’accordo come del resto già evidenziato da Sorbera.Un altro disaccordo detto brevemente era quello del postulato che una supposta svalutazione dell’euro rilancerebbe la base produttiva agendo sulla maggior produzione destinata alla domanda per esportazioni.Mi dica Lele quali siano le certezze che un imprenditore-tipo,in tempo di crisi,destini all’allargamento della base produttiva i maggior introiti dovuti alle crescenti esportazioni.Sono postulati dell’economia classica che oggi agiscono su basi sempre più fragili,il mondo è cambiato Lele e non funziona più così,se non in teoria nella testa di chi crede che i poveri accettino tutto senza proferir parola.Infatti questo serve ad una sola cosa in definitiva: a metterglielo sotto la coda,facendo sopportare a loro il maggior peso della chiusura dei rubinetti.E questo infatti succede,al punto che la chiamerei ”decrescita infelice”.Anzi felice per pochi,infelice per molti.

  7. enzo sorbera scrive:

    Molto chiaro ed esauriente. Non concordo solo sul fatto che, in caso di inflazione, abbiamo una “stabilizzazione” dei salari. Purtroppo, questa sarebbe la teoria: nei fatti, il blocco imposto alla contrattazione (contratti pubblici e privati fermi da oltre 7 anni; disincentivazione delle contrattazioni collettive, e via dicendo) fa pagare il costo delle politiche economiche quasi interamente alle classi subalterne. Un esempio, per tutti: l’aliquota di tassazione sul reddito.

I commenti sono chiusi.