Quale trasparenza per i costi della politica?

di Paolo Scattoni

Matteo Renzi ha messo in rete i finanziamenti ricevuti (più di 800.000 euro) per la sua campagna per le primarie. E’ sicuramente un gesto importante che si spera venga seguito da tutti i politici. La pubblicazione è stata accompagnata da una dichiarazione che più o meno suonava così: vedete, si può fare politica anche senza finanziamenti pubblici.

Su quest’ultimo passaggio, però, va fatta qualche considerazione. Scorrendo i nomi di chi ha contribuito si scopre che più del 40%di quei contributi è coperto dai primi quattro donatori.

Il primo è Davide Serra ( e signora) con 100.000 euro. Chi è Davide Serra? Un finanziere residente a Londra che ha più volte tentato di controllare le Generali.

C’è poi la famiglia Ghisolfi con altri 100.000 euro. Chi è Ghisolfi? Il titolare di una multinazionale della chimica. Segue a ruota con 50.000 euro la famiglia Fresco. Chi è Paolo Fresco? Il legale (non so quanto ex) della FIAT e della famiglia Agnelli. C’è poi una società immobiliare la ISFAVIM con 60.000 euro. Chi è il titolare della ISFAVIM? Alfredo Romeo che fa affari gestendo patrimoni immobiliari pubblici. Tempo fa è stato condannato per nei primi gradi di giudizio per aver corrotto politici. La Cassazione lo ha poi prosciolto per prescrizione.

Allora la domanda è? Questi donatori hanno contribuito perché condividevano il progetto politico di Matteo Renzi oppure perché vi vedevano qualche interesse in prospettiva? E chi non ha amici potenti o rilevanti capitali in proprio deve rinunciare alla politica? Sta tutto qui il dilemma.

Io credo che il primo passaggio sia quello dell’obbligo assoluto alla trasparenza, immediata e non a scoppio ritardato. Quando debbo decidere per un candidato o l’altro debbo sapere chi ci sta dietro, non importa se per convinzione o per interesse. Poi mi regolo.

Questo lo vorrei a tutti i livelli, anche nel nostro piccolo. Ricordo che nelle riunioni del PD locale assai spesso Claudio Provvedi si alza per chiedere la pubblicazione dei bilanci del partito da esporre in bacheca. In questo blog Luciano Fiorani ha detto che per quanto lo riguarda quando ha fatto politica ha sempre messo mano al portafoglio per contribuire insieme ai compagni di strada. Lo ricordo bene perché ai tempi della Rete con i mezzi di comunicazione allora disponibili (volantini) abbiamo sempre detto quanto si spendeva. Erano cifre piccole rispetto a quelle facilmente ipotizzabili dei partiti strutturati.

Il bilancio pubblico (analitico e non  per grandi voci) ci permetterebbe di capire se certe organizzazioni politiche vanno avanti con prosciutti e salami generosamente depositati presso i camper di certi politici oppure c’è qualche altra fonte. Allora potremmo dire se è davvero così criminoso il finanziamento pubblico della politica, perseguendo gli abusi, ovviamente.

 

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12 risposte a Quale trasparenza per i costi della politica?

  1. marco lorenzoni scrive:

    D’accordo con Fiorani… Il Pd s’è liqueso… come diceva Proietti in un vecchio spot pubblicitario…
    Renzi e anche Scaramelli e Bettollini già parlano come se fossero fuori… E il Pd non favella.
    A tal proposito, commento sul sito di primapagina…

  2. Ma perchè non si dice una volta per tutte che quel grande statista che è Bersani è riuscito a dare una notevole spinta al PDL ed ai Grillini e, allo stesso tempo, si è impantanato di brutto. Non credo ci siano dubbi che se Bersani avesse
    ‘ preso ‘ Renzi a quest’ora il PDL sarebbe sparito ed i Grillini sarebbero una minoranza e forse Bersani non sarebbe cosi nella mota. Ripeto come statista e uomo politico non c’è male.

  3. Luca Scaramelli scrive:

    Ho letto l’aritcolo lincato da Luciano. Come sarebbe, la bambina è già diventata più possibilista sul babbo che va a lavorare a Roma?

  4. pscattoni scrive:

    X Giampaolo Tomassoni. Non so come avvengano i finanziamenti dai privati in Gran Bretagna. Intanto si potrebbe copiare la regola del tetto di spesa. Ricordo che quando ero studente di dottorato a Newcastle alla fine degli anni ’70, la mia università autorizzava per le elezioni studentes che un tetto di 10 sterline a candidato (immagino che oggi sono una cinquantina). Si trattava di volantini e poco più, poi la campagna si faceva bussando alle porte degli studenti ospitati nelle molte case dellon studente e all’interno dell’area universitaria. C’era un controllo sulla spesa.
    Ora è vero che per le primarie del centrosinistra il tetto di spesa era di 200.000 euro, ma chi ha controllato? E Renzi perché ha raccolto 800.000 euro? Con gli altri 600.000 cosa ci ha fatto?

  5. Premesso che, come altri hanno ricordato, e’ stato raggirato l’ esito di un referendum e considerato il discredito attuale della politica, credo sarebbe opportuno sospendere immedatamente qualunque forma di finanziamento ai partiti. Certo ci sarebbero rischi diversi, ma credo che andrebbero corsi. Anche per togliere una delle poche frecce a disposizione dell’arco del M5S. Se le forze politiche attuali riusciranno a portarci fuori da questa melma economico – politica credo che molti cittadini potrebbero non trovare vergognoso contribuire con le imposte pagate a finanziare l’attivita’ di chi chi si ritiene idoneo a governarci.

  6. marco lorenzoni scrive:

    Il problema secondo me non il finanziamento pubblico ai partiti, che in qualche misura forse è giusto e necessario, ma la sua abnormità, le storture che lo regolano (perchè rimborsare per anni anche i partiti estinti?(la pensione ai morti la revocano subito…)… Il problema sta nel fatto che coi soldi pubblici ai partiti ci sono i politici che si arricchiscono, anche in questo caso in maniera “abnorme” rispetto ai comuni mortali… E parlo anche di politici di livello periferico. Peones, dicevano un tempo… E’ giusto pagare decentemente un consigliere o assessore regionale o i deputati, non è giusto pagarli a peso d’oro… più di un primario d’ospedale o di chi fa lavori pericolosi… Insomma il nodo è la misura. E poi anche la trasparenza , a tutti i livelli, che finora non c’è mai stata…

  7. Vabbé, così ci fanno anche negli stati uniti. Quando parlo di “grandi elettori” non lo intendo all’americana eh.

    Anche in inghilterra, se non sbaglio, ci sono le lobby che sovvenzionano i partiti, no? Certo, avere molti rappresentanti dei quali alcuni presentati all’elettorato col porta a porta può mitigare un po’ il problema delle lobby, ma fino a quanto?

  8. pscattoni scrive:

    X Giampaolo Tomassoni. Il metodo anglosassone non esiste. Negli USA si sa come vanno le cose. Nel Regno Unito però è diverso. Per la Camera dei Comuni il sistema è maggioritario. I rappresentanti sono sono molti, ma c’è un motivo. Con il maggiritario e collegi piccoli puoi fare la campagna elettorale quasi porta a porta. Il candidato e i volontari, soprattutto nei collegi dal risultato più incerto, fanno una campagna elettorale davvero strada per strada. Una volta eletto il rappresentante ha un ufficio neol collegio e se ben radicato riceve personalmente i suoi elettori e risponde alle lettere. Sarebbe uno sgarbo imperdonabile (e quindi voti persi) il non farlo. Come si vede anche il dimezzamento del nunmero dei parlamentari può essere positivo o negativo a seconda del sistema elettorale che si sceglie.

  9. A me pare ovvio che la risposta alla domanda di Scattoni è “no”. É anzi secondo me auspicabile che ci sia un ritorno ad un modo più “ideologico” di vedere la politica, altrimenti ampie fasce di popolazione rischiano di diventare invisibili. Ciò però si può attuare solo prescindendo dalle sovvenzioni private o, al più, facendo uso delle sole quote di iscrizione al partito (che mi pare poco probabile).

    Il metodo “anglosassone” di autofinanziamento dei parties, benché mitigato da obblighi di trasparenza sia legali che morali, a mio parere tende comunque a favorire i “grandi elettori” (multinazionali, grandi fondi privati), mentre il tessuto produttivo italiano, che ha tirato finora il carretto, è composto sopratutto da piccole e medie aziende. Difficilmente queste sono in grado di organizzarsi allo scopo di produrre sovvenzioni tali da “farsi sentire” dai partiti e, quindi, in quel contesto sono costrette all’oblio.

  10. luciano fiorani scrive:

    In questo pezzo ho trovato spunti condivisibili e altri da approfondire. Oltre al finanziamento pubblico ai partiti (ricordarsi sempre che c’è stato un referendum che lo ha abolito!) è giusto parlare dei costi della politica.
    Ma non si può far finta di dimenticare ciò che abbiamo rivisto in tutti questi ultimi anni malgrado lo scossone di mani pulite.
    Sia col finanziamento pubblico che con i rimborsi elettorali le mazzette e le ruberie hanno proliferato a tutto spiano.
    Sotto questo aspetto i partiti hanno fallito c’è poco da fare. Chi o cosa gli ha impedito di darsi una regolata? Le centinaia di migliaia di euro di liquidazione che intascheranno Fini, D’Alema, Marini e compagnia cantando cosa c’entrano con la democrazia o col consentire a tutti di fare politica?

  11. luca scaramelli scrive:

    Io sono passato negli anni dall’attività in un partito a quella fai da te.
    Ai tempi del partito nessuno si preoccupava delle risorse, se c’era da fare un volantino ciclostile e carta in quantità, manifesti quando volevi e così via. Le successive esperienze hanno richiesto sempre di mettersi le mani in tasca, i due anni della Primavera hanno significato un certo sforzo in termini di spese (senza follie), ma prenotare una sala pubblica o stampare del materiale costa. A livello locale tutto questo conta moltissimo perchè non si gioca tutti con le stesse regole. A livello più grande credo che il finanziamento privato della politica sia la fine della politica stessa.

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