La pubblicità che rovina il Pubblico

di Francesca Romanini

E’ uscito da qualche giorno il nuovo spot del Ministero dell’Istruzione sulla promozione della scuola pubblica accompagnato dalla voce narrante del cantante Roberto Vecchioni; il video ha subito destato polemiche, numerose e decise, perché si è scoperto essere stato girato in una scuola privata.
Ho sentito lo scontro che si è creato fra i difensori da una parte, che giustificano la scelta e i critici dall’altra.

Secondo i primi è nel fine di uno spot vendere un prodotto e se nelle immagini avessero restituito la realtà delle strutture pubbliche, avrebbero dato un’idea desolante e poco accattivante; i secondi invece tuonano contro la mossa ipocrita dei produttori e la strumentalizzazione dell’appeal del cantante, nonostante comprendano i motivi di marketing.

Non voglio discutere se occorra o no aspettarsi una dirittura morale dalla pubblicità.
La questione è se l’appoggio ad una politica istituzionale (come il supporto della scuola pubblica) possa essere raggiunto attraverso la costruzione e la manipolazione della sua immagine che, puntando sull’emotività, per convincere deve essere il più accattivante e seducente possibile. Il fatto che nessuna delle parti che ho sentito abbia evidenziato questo passaggio, mi ha spinto a scrivere questa riflessione.
La pubblicità di servizi pubblici, quindi tutta quella promossa dal Ministero (come anche la Pubblicità Progresso) andrebbe tirata fuori da ragionamenti di vendibilità/invendibilità, poiché non viene presentato un prodotto per soddisfare un bisogno personale, ma si vuole sensibilizzare l’importanza di un servizio costituzionale a garanzia di un diritto pubblico; sia per i critici che per i sostenitori la sovvenzione alla scuola pubblica può aumentare per la visione di banchi meno rovinati, o di computer piuttosto che di lavagne, in virtù quindi di una apparenza più bella; solo qui infine i due fronti si dividono e entrano in ballo questioni di deontologia: le immagini andavano sostituite o era meglio scegliere strutture pubbliche?

Per tutelare la scuola pubblica si punta sull’emotività e sull’evocazione coinvolgente, chiamando in causa lo spettro dei sentimenti che come tali si muovono nell’ambito dell’irrazionale.
Il rischio è che il pubblico per cui è fatta la pubblicità, cioè un gruppo spettatore-consumatore sostituisca sempre di più il pubblico per cui si costituisce la res publica, cioè la possibilità di fioritura del sé che diventa utile agli altri .

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3 risposte a La pubblicità che rovina il Pubblico

  1. carlo sacco scrive:

    Come ragionamento di base mi trova d’accordo Sorbera ed il suo ragionamento(ma perchè si deve vendere un prodotto?)che prolungato sfocia senza meno in una presa di coscienza che è la seguente: Il Capitalismo come sistema economico si regge sul produrre prodotti e venderli instillando la loro utilità nella società. A tutto questo si riduce.Riduce ad un prodotto anche l’attività umana,misurabile con il denaro,al quale sacrificare anche la vita,la cultura che ne promana,in qualsiasi modo in qualsiasi latitudine.Il sistema di produzione è quindi onnicomprensivo ed ingloba e conquista anche le coscenze.Da lì ad immaginare che il lavoro,la creatività umana,la fantasia,le intenzioni siano un prodotto del sistema il passo è breve,è quasi automatico.L’alienazione non è solo il sentimento o lo status dell’operaio che alla catena di montaggio ripete gli stessi gesti per ore.E’ anche alienazione moderna la solitudine che il modo di produzione di materialità e di valori ha prodoto nella vita umana per beneficio di pochi e l’asservimento automatico di molti,ai quali spesso il sistema non dà neanche la facoltà di organizzarsi e di ribellarsi.Anzi,spesso la storia ci dice che sono proprio loro a frenare qualsiasi istanza di cambiamento.Per tornare al senso del Post anche il Pubblico è profondamente influenzato da tale condizione.

  2. enzo sorbera scrive:

    Ma perché si deve “vendere” un prodotto? Se la scuola (tanto per rimanere nel tema, ma pensate agli scavi di Pompei o altre realtà che dormono nei sotterranei dei musei) non fosse stata pugnalata ogni volta dall’ignorante (arraffone) ministro della pubblica istruzione di turno probabilmente non avremmo la necessità di auditorium contro laboratorio e, quindi, non ci sarebbe da vendere lo spazio per cantare piuttosto che quello per fare meccatronica. E’ la politica (venduta), bellezza!

  3. carlo sacco scrive:

    Il senso del post mi trova completamente d’accordo.Soprattutto nelle sue ultime due righe finali.Da lì si capisce quanto possa essere alta la difficoltà della penetrazione del messaggio rivolto al PUBBLICO in un contesto dove agiscono tendenze di natura privatistica e dell’uso del privato per un fine pubblico.La sostituzione tendenziale che va prendendo sempre più piede è quella di un pubblico-consumatore come dici tu Francesca,teso alla sostituzione del concetto del PUBBLICO.Questa purtroppo è l’impotenza dello Stato che nelle sue strutture fa difficoltà a raggiungere con i suoi messaggi ”culturali” i suoi membri.La forza opposta tesa alla personalizzazione riesce anche a parcellizzare e smembrare i concetti fino ad usarli per la sua stessa battaglia.Scommetti che se fosse il contrario diversi settori dello stato Liberale insorgerebbero dicendo che gli viene negata la libertà dallo Stato che li opprime ? Purtropppo contro tali tendenze dell’etica moderna totalmente condizionante lo Stato ha armi spuntate.Si ritorna sempre lì, è una battaglia non solo culturale fra classi ma anche di mera conquista di terreno e di spartizione di risorse.

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