La Bonifica…dopo la Bonifica(II)

di Roberto Sanchini

Diverso è il quadro successivo all’inalveamento dei fiumi in letti artificiali più rettilinei rispetto a quelli naturali, dall’andamento a meandro, più lenti e con una minore capacità erosiva.

Le conseguenze furono evidenti: da un lato il notevole estendersi delle zone inondate (“Hoggi poi lo stato dell’acque delle Chiane è molto più largo di quel di prima”), dall’altro l’aumento della capacità di colmata dei corsi d’acqua, con effetti favorevoli all’agricoltura soprattutto per la parte toscana (“come si vede già à canto alla Parcia fiume ci ha fato da pochi anni in qua cinque o sei poderi il Gran Duca”).

Come osserva ancora Silvì Fuschiotto, la redditività delle colmate nel territorio di Chiusi fece constatare che sarebbe stato impossibile proseguire nell’opera senza un accordo tra i due poteri confinanti e altresì che agricoltura ed economia palustre già si ponevano in contrasto; si pensi che allora l’area paludosa che sarebbe stata minacciata dall’avanzamento delle colmate verso sud, nel territorio di Città della Pieve, era soggetta al diritto esclusivo di pesca dei Pievesi, che vi traevano un canone di oltre 100 fiorini l’anno.

Non è qui la sede per descrivere gli accadimenti, gli accordi e gli interventi che si susseguirono con alterni risultati fino a quel 26 agosto 1780 che vide Città della Pieve teatro dello storico Concordato tra il Pontefice Pio VI e il Granduca Pietro Leopoldo, da tutti interpretato come ultimo passo verso la definitiva bonifica della Val di Chiana, col prosciugamento dell’area interposta tra il Chiaro di Chiusi e la Fabbrica del Callone Pontificio, il regolatore artificiale costruito fra il 1725 e il 1727 all’altezza del bastione del Campo alla Volta, l’unica in cui persistevano estesi impaludamenti.

All’articolo XI, punto centrale e risolutivo del trattato, si stabiliva la realizzazione di uno spartiacque artificiale, un terrapieno che avrebbe dovuto dividere il bacino idrografico dell’Arno da quello del Tevere e che è tuttora visibile a nord della Stazione ferroviaria di Chiusi.

È su questo argine di separazione (localmente noto come Grotton Grosso) che nelle notti tra il 25 e 26 ottobre e il 5 e 6 novembre 1874 furono illegalmente aperte delle bocche. I responsabili rimasero ignoti e fu solo possibile constatare che “per rompere un argine solido, alto sopra i quattro metri per una lunghezza tra gli otto e i quattordici metri deve essere occorso il lavoro di molte persone per più ore, e deve essere stato eseguito da chi aveva un interesse molto rilevante da vincere il ritegno e i pericoli che si incontrano nel commettere un reato”.

Nell’ombra corsero voci che quei lavori potessero essere stati commissionati per permettere la costruzione della ferrovia Terontola-Chiusi, dato che i punti danneggiati erano proprio quelli dove era previsto il passaggio della strada ferrata e che, stranamente, i guardiani delle ferrovie non avevano notato alcun movimento sospetto.

Peraltro la manomissione ebbe a ripetersi, se nel maggio 1880 l’Assemblea Generale dei Consortisti del Consorzio Idraulico di Città della Pieve fu convocata per discutere su un ordine del giorno che si riferiva alla “clandestina rottura, ed abusivo collocamento di un tubo attraverso l’Argine separatore operato dai Chiusini”.

Seguì una causa civile intentata da detto Consorzio davanti al Tribunale di Orvieto contro il Regio Prefetto di Siena, il Comune di Chiusi e il Consorzio delle Bozze Chiusine.

Solo nel 1898 la vicenda ebbe termine, col Genio Civile di Siena che concesse al Comune di Chiusi di aprire un varco nel Grotton Grosso a patto di accollarsi tutte le spese anche per la futura rimozione del condotto, la maggiorazione delle spese di ripulitura della Chianetta e l’eventuale risarcimento dei danni arrecati ai terreni sottoposti alla tutela del Consorzio Idraulico di Città della Pieve.

Si trattava di un provvedimento di cui veniva rimarcata la provvisorietà, dettato da esigenze di natura economica e, soprattutto, sanitaria (“[…] sia infine per ragioni non trascurabili di igiene, essendo l’attuale impaludamento dei terreni fornito di malaria, come è attestato dal fatto delle febbri contratte dalla truppa inviata sul luogo per il mantenimento dell’ordine pubblico”).

I suoi effetti furono comunque positivi e i terreni delle Bozze Chiusine furono prosciugati e sanificati.

Le ripetute manomissioni clandestine dell’Argine di separazione in epoca post-unitaria e l’esito della relativa vicenda dimostrano non solo che esse erano potute avvenire per il venir meno in quei luoghi del presidio delle truppe di frontiera ma che alla loro radice c’erano ancora una volta le ragioni di un processo di bonifica non ancora completato a distanza di oltre 100 anni dallo storico Concordato, anche per probabile effetto di interventi che proprio questo aveva pianificato, come appunto l’Argine di separazione, che a partire dagli Anni ’30 dell’Ottocento cominciò ad essere messo in discussione dalla parte toscana, perché lo si riteneva dannoso per le aree a monte, dove si accumulavano preoccupanti ristagni.

In tale ambito s’inquadra l’istanza dei chiusini di poter inserire delle cateratte nel Grotton Grosso per consentire il deflusso di parte delle acque stagnanti verso la Chianetta, che nel 1874, inevasa dal Ministero dei Lavori Pubblici, costituì l’immediato prodromo della prima manomissione notturna.

In complessivo l’area adiacente all’Argine di separazione continuava a presentare fenomeni di deposito e di interrimento particolarmente evidenti, che convinsero emeriti idraulici della necessità di rivedere i criteri del Concordato del 1780 e di volgere al Tevere alcuni corsi d’acqua tributari dell’Arno.

Uno di questi era l’ing. Carlo Possenti, che nel 1866 era stato preposto alla direzione dell’Ufficio del Genio Civile di Arezzo e che lo stesso anno, nel suo studio Sulla sistemazione idraulica della Valdichiana. Osservazioni storico-critiche, aveva espresso con rigore il suo giudizio negativo sulla pratica delle colmate e su Vittorio Fossombroni che ne era stato grande teorico e propugnatore.

Sottolineava infatti come il ricorso generalizzato ad essa non fosse stata una scelta di carattere tecnico-idraulico, bensì essenzialmente politica, conseguente alla volontà di mantenere la quota della Chiusa dei Monaci per proteggere Firenze dalle piene dell’Arno, che imponeva di ovviare all’impossibilità di recapitare le acque torbide dei torrenti nel Canale Maestro, per la pendenza di quest’ultimo insufficiente a smaltirle, col loro convogliamento all’interno dei recinti di colmata, purtroppo – accadde – anche quando la colmata era stata completata e i relativi terreni recuperati all’agricoltura.

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2 risposte a La Bonifica…dopo la Bonifica(II)

  1. Non era per interessi di pesca; gli interessi erano agricoli, di fronte a ristagni delle acque che faticavano ad essere eliminati a settentrione dell’argine di separazione, mentre la parte meridionale già prima dell’Unità d’Italia aveva raggiunto un buon grado di bonifica e quindi si vedeva minacciata dalle acque del lato toscano che rompendo l’argine venivano fatte defluire verso sud. Faccio rilevare che nella zona delle Bozze chiusine, sotto al Bagnolo, avevano terreni ancora da risanare e da acquisire a coltura alcuni fra i più importanti proprietari fondiari di Chiusi: i Paolozzi, i Casuccini…

  2. pscattoni scrive:

    Scusa Roberto, può darsi che non abbia letto con la dovuta attenzione, ma non ho capito le motivazioni delle manomissioni. Quella del 1880 non poteva più essere addebitata alla costruzione della ferrovia (se non rcordo male). Evidentemente la cusa bvera era il rifiuto dl passaggidall’economia della “pésca”. Ci sono dati (numero di pescatori, etc.)che la possa documentare?

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